LA TRAGICA FINE DI GIANGIACOMO FELTRINELLI E IL GIORNALISMO INVESTIGATIVO DI GIANFRANCO PINTORE IN UN LIBRO DI EGIDIO CECCATO di Federico Francioni
Premessa
- La tesi del libro - Abbagli e fraintendimenti di Feltrinelli -
Feltrinelli, Carlo Fioroni e la Sardegna - La morte del fascista
“riverniciato di rosso” - Il commissario Luigi Calabresi, Giangi,
Inge e Sibilla - La disponibilità di nuove fonti per lo studio
degli anni Settanta - Per concludere
- Per approfondire.
Premessa.
Una ricostruzione sempre più ampia ed articolata dei momenti più
tragici degli anni Settanta, unitamente ad un'analisi puntuale della
strategia della tensione, soprattutto in rapporto all'attività di
istituzioni e di servizi segreti deviati: ricerche in tal senso
possono già da ora usufruire di fonti storiche destinate a diventare
sempre più consistenti. Infatti, secondo le norme in vigore, i
documenti prodotti dagli uffici dei diversi organi dello Stato vanno
versati, dopo 40 anni, nel più vicino archivio “periferico”,
che ha il compito di riordinarli e di renderli disponibili al
pubblico. Si spiega in questo modo la presenza, nell'Archivio di
Stato di Milano, delle carte cui Egidio Ceccato ha avuto accesso. Ci
riferiamo al procedimento giudiziario che, insieme ad altri
materiali, è stato esaminato da questo autore per scrivere il denso
volume Giangiacomo Feltrinelli un omicidio politico,
pubblicato nel corrente anno 2018 dall'editore Castelvecchi di Roma.
La
tesi del libro. Nella sua autorevole prefazione, il magistrato
Guido Salvini riconosce la serietà ed il rigore della ricostruzione
compiuta da Ceccato intorno all'esplosione del traliccio di Segrate,
in seguito alla quale, il 14 marzo 1972, perse la vita l'editore
milanese. Indubbiamente, sono ancora molti i lati oscuri e i nodi da
sviscerare.
La
convinzione dell'autore del libro è questa: contrariamente a quanto
sostenuto da alcuni, in quella tragica notte Feltrinelli non fu
portato a Segrate dopo essere stato drogato o, in qualche modo,
stordito, ma vi si recò di sua spontanea volontà. Voleva essere
protagonista di un attentato dimostrativo, ma il timer era stato
manomesso; il detonatore scattò ben prima del tempo che egli
pensava - si illudeva - di avere a sua disposizione. Giangi, così
era chiamato da amici e compagni, rimase gravemente mutilato e morì
per dissanguamento. Due giovani che lo avevano accompagnato
riuscirono a fuggire, assordati e terrorizzati. La manomissione,
secondo Ceccato, venne effettuata da un certo Berardino (sic)
Andreola, l'unico elemento della cerchia di Feltrinelli che disponeva
delle competenze tecniche indispensabili per condurre a termine con
successo un siffatto gesto.
Nel
testo figurano riproduzioni di documenti e foto, tra cui quella
dell'orologio “Lucerne”, ritrovato con la sola lancetta indicante
i minuti. Insomma, Feltrinelli non sapeva che il tempo a sua
disposizione per compiere l'attentato era davvero scarso. Ceccato
smonta le tesi dei periti incaricati dalla magistratura di compiere i
rilievi sotto il traliccio e mette in evidenza le critiche, più o
meno circostanziate, rivolte dagli stessi giudici ai colleghi dei
gradi precedenti di giudizio intorno all'intera vicenda.
Da
un punto di vista storico-politico, afferma l'autore, la fine di
Feltrinelli fu assai abilmente utilizzata per assicurare
l'affermazione in grande stile della tesi degli “opposti
estremismi”: se ne avvantaggiarono la Dc e la Destra anche per
ridimensionare l'attenzione verso le indagini condotte sulla strage
di Piazza Fontana, attribuita in un primo momento agli anarchici,
quindi alla pista padovana dei neofascisti Franco Freda e Giovanni
Ventura (individuata grazie alle coraggiose indagini del magistrato
Giancarlo Stiz).
Ceccato
riconosce in varie pagine che fu il giornalista sardo Gianfranco
Pintore, allora in forza alla redazione del settimanale “ABC”, il
primo a concentrare l'attenzione su Andreola. Di lui si interessò
anche Mario Scialoja de “L'Espresso”. Pintore cominciò a seguire
la tragica vicenda dopo l'arresto di un operaio sardo, Giuseppe Saba,
accusato da Andreola di aver tradito l'editore milanese.
Abbagli
e fraintendimenti di Feltrinelli. Quali furono gli avvenimenti
che precedettero Segrate, in grado di influire pesantemente sulle
decisioni dell'editore? In
primo luogo va ricordata la svolta del 1967, quando un colpo di Stato
provocò l'instaurazione della dittatura dei colonnelli in Grecia.
Ciò rappresentò un segnale quanto mai allarmante per Feltrinelli,
da tempo convintissimo che gli Stati Uniti, con l'appoggio
dell'estrema destra, preparassero qualcosa di analogo in Italia.
Sull'esistenza di trame golpiste, egli di sicuro non errava. La
minaccia di un concreto disegno autoritario era stata paventata, fra
gli altri, da Arnaldo Forlani: parliamo di un importante leader
democristiano, non di voci ed allarmi, ugualmente fondati, che
circolavano negli ambienti della sinistra tradizionale o di quella
extraparlamentare.
Piuttosto,
era la scelta della lotta armata a porre l'editore milanese
drammaticamente al di fuori di un rapporto con i movimenti di lotta
che, sia pure tra alterne vicende, continuavano a svilupparsi nella
società e nella scuola. Egli era stato in Bolivia, paese dove “Che”
Guevara era stato ucciso. A Cuba aveva conosciuto Fidel Castro.
Facendo leva su cospicue sostanze e sul suo prestigio di imprenditore
e di intellettuale, Feltrinelli era sicuro che sarebbe spettato a lui
diventare l'indiscusso protagonista dell'opposizione al golpismo,
colpevolmente sottovalutato dalla sinistra “ufficiale”.
Di
qui i suoi viaggi in Germania, specialmente presso gli emigrati
sardi; di qui la frequentazione della Sardegna, dove sperava di
suscitare un “fuoco” rivoluzionario di matrice
castrista-guevarista, cui si sarebbe dovuto associare anche il
bandito Graziano Mesina. In effetti, costui era lontano anni luce dal
condividere non solo questo, ma anche ben altri disegni di seria,
coerente ed intransigente opposizione politica allo stato di cose
dominante nell'isola. In ogni caso, anche questa vicenda contribuì a
costruire intorno a Mesina un'aureola, una sorta di mito, quanto mai
immeritato e fuori luogo, di cui la nostra società, forse, fa ancora
fatica a sbarazzarsi definitivamente.
Già
partigiano durante la resistenza al fascismo ed al nazismo, negli
anni sessanta l'editore era entrato in rapporto con Potere operaio di
Franco Piperno ed Oreste Scalzone, nonché con le Brigate rosse. Ma
egli era incrollabilmente certo che solo i Gap, Gruppi di azione
partigiana, di cui era promotore e leader, avrebbero potuto
determinare le condizioni per bloccare il disegno eversivo. Mi
risulta che Feltrinelli avesse cercato di coinvolgere nei suoi piani
politico-organizzativi anche i militanti di Potere operaio in
Sardegna, ma questo ed analoghi tentativi non ebbero seguito.
Peraltro,
verso la fine del 1967, egli era entrato in clandestinità,
costantemente monitorata dai servizi segreti statunitensi e italiani,
nonché dal Mossad israeliano. Colossali furono gli abbagli ed i
fraintendimenti presi da Feltrinelli, cui peraltro non mancavano doti
e capacità, da lui tuttavia ampiamente dimostrate nei settori
specifici dell'editoria, della cultura, del mercato.
Occorre
ribadirlo: nel perseguire un progetto “autocentrato” sulla sua
persona e sulla lotta armata, egli dimostrava di prescindere
totalmente dalle concrete, generali condizioni in cui si sviluppavano
le lotte politico-sociali, nella penisola ed in Sardegna. Grande in
ogni caso fu il danno che le strategie e le pratiche delle Brigate
rosse, o di altri gruppi analoghi, arrecarono ai movimenti.
Dei
Gap entrò a far parte anche Andreola, detto Gunter, un ex
aderente alla Repubblica sociale italiana, che aveva inoltre
frequentato corsi di addestramento dell'esercito nazista in Germania
(dove aveva appreso il tedesco e che frequentò anche dopo la fine
della Seconda guerra mondiale). L'editore sapeva di questo precedente
ma si illuse sulla sincerità dell'approdo di Andreola a convinzioni
di estrema sinistra. In realtà, come ha scritto giustamente Ceccato,
Andreola si era semplicemente riverniciato di rosso, da maoista, per
porre in atto una strategia da agente provocatore. L'autore del libro
ritiene inoltre che il soprannome di Gunter sia stato
attribuito ad Andreola proprio da Feltrinelli, frequentatore del
mondo tedesco, dove si era già affermata la stella di Gunter Grass,
lo scrittore cui sarebbe andato nel 1999 il Premio Nobel per la
Letteratura.
Dal
suo canto, Pintore ebbe uno scambio epistolare con Andreola che, fra
l'altro, si presentò a lui sotto le spoglie di un sedicente Giuliano
De Fonseca. In questa ed in altre occasioni tuttavia, come viene
sostenuto da Ceccato, il giornalista sardo non si fece ingannare.
Ceccato ebbe modo di corrispondere e di parlare con Pintore, onde
portare a termine il proprio volume.
Gianfranco Pintore |
Nel
1948, Piero Saronio aveva deciso di acquistare anche Surigheddu,
presso Alghero. Dopo il 1975, cioè dopo la morte del figlio, ebbe
inizio la lunga, inarrestabile decadenza della grande azienda
agricola e zootecnica (esistente da molto tempo) che, dopo la Prima
guerra mondiale, era arrivata a contare su ben 904 ettari di
estensione, su 600 dipendenti e su 320 capi di bestiame. Nello stesso
territorio operò a lungo anche la tenuta di Mamuntanas,
dell'ingegner Antonino Serra, passata poi al figlio Nando, di ben
327 ettari. L'esaurimento della storia di queste due grandi tenute
agrarie contribuisce a dare un'idea del vuoto odierno di progetti
produttivi riguardanti questo territorio anche e soprattutto dopo la
fine della scellerata industrializzazione rovelliana.
La
morte del fascista “riverniciato di rosso”. Dopo la tragica
fine di Feltrinelli, l'attività di Andreola, uomo legato
all'Internazionale nera ed ai servizi segreti, proseguì e si
intrecciò con altri torbidi casi, come il fallito sequestro di
Graziano Verzotto. Era questi un ex-senatore democristiano di Padova,
che era diventato presidente dell'Ems (Ente minerario siciliano).
Egli minacciava continuamente di fare rivelazioni non solo sulla
tragedia di Bascapé (presso Pavia) dove, nel 1962, era precipitato
l'aereo sul quale si trovava il presidente dell'Eni Enrico Mattei, ma
anche sulla scomparsa, avvenuta nel 1970, di Mauro De Mauro: fratello
di Tullio De Mauro (docente e studioso della lingua italiana, poi
ministro), Mauro era un giornalista de “L'Ora” di Palermo, che su
quel mistero indagava; doveva aver scoperto verità assai
compromettenti. Per questo e per altri motivi, Verzotto era
considerato pericoloso (ma un suo probabile coinvolgimento nel piano
per eliminare Mattei viene riferito dallo stesso Ceccato). Andreola
fu messo sulle tracce di Verzotto per gli agganci che aveva anche
negli ambienti siciliani, mafiosi e non. Essendo Andreola a
conoscenza di episodi e tasselli della strategia della tensione, la
sua morte - avvenuta a Pesaro il 10 settembre 1983 - non sarebbe,
secondo Ceccato, addebitabile a cause naturali.
Il
commissario Luigi Calabresi, Giangi, Inge e Sibilla.
Fu
Calabresi, che venne assassinato poco tempo dopo Feltrinelli, il 17
maggio 1972, il primo ad accostare la foto della falsa carta
d'identità (trovata sotto il traliccio di Segrate) alle sembianze
dell'editore. Decisivo, per mettere gli inquirenti sulle tracce di
Giangi, fu anche il rinvenimento della foto di Sibilla Melega.
L'editore si era sposato con lei in Carinzia dopo la fine del legame
con Ingeborg (Inge) Schoental, fotografa e reporter che aveva
conosciuto ad Amburgo e con cui era convolato a nozze in Messico nel
1959: era allora arrivato al suo terzo matrimonio. Dopo la tragica
scomparsa di Giangi, Inge assunse la direzione della casa editrice
(connessa alla rete delle Librerie Feltrinelli ed all'Istituto
Feltrinelli per la storia del Movimento operaio) che contribuì a
rilanciare. Questa donna colta, sensibile, affascinante, dotata di
notevoli capacità organizzative ed imprenditoriali, è morta di
recente a Milano (si vedano le pagine che il “Corriere della Sera”
del 21 settembre 2018 le ha dedicato).
L'assassinio
di Calabresi, secondo Ceccato, va attribuita a componenti del
servizio d'ordine milanese di Lotta continua, che avrebbero agito
tenendo completamente all'oscuro il gruppo dirigente di questa
organizzazione. L'eliminazione del commissario sarebbe tornata assai
utile, secondo l'autore del libro, a segmenti dell'Arma dei
carabinieri, della Questura milanese e dei servizi segreti. Costoro
non vedevano certo di buon occhio l'impegno e la volontà di
Calabresi, che tendeva a far luce su piste diverse da quella
“anarchica”, o “rossa”. in cui anch'egli aveva creduto,
specialmente dopo la strage alla Banca dell'Agricoltura di Milano.
La
disponibilità di nuove fonti per lo studio degli anni Settanta.
Vogliamo qui ribadire l'importanza decisiva delle fonti archivistiche
per una più precisa ricostruzione delle vicende degli anni Settanta,
nonché dei molteplici nessi che legano la Sardegna ad una dimensione
internazionale. Studiosi e ricercatori a vario titolo potranno
contare sempre più non solo su numerosi volumi, già editi, sugli
“anni di piombo”, su articoli giornalistici, su testimonianze
orali o scritte di singole persone, su archivi privati, ma anche
sulla grande massa di incartamenti che già si trovano nelle
istituzioni archivistiche dei vari capoluoghi provinciali o
nell'Archivio centrale dello Stato in Roma. Spetta a quest'ultimo
accogliere e riordinare la documentazione degli organi statali
centrali: dalla Presidenza del Consiglio ai vari Ministeri e via
dicendo.
In
proposito, è tuttavia indispensabile rispondere a un'obiezione, già
formulata in Sardegna da Francesco Masala e, di recente, da autori
dei Postcolonial Studies: in quei faldoni, in quei fascicoli
archivistici sarebbe depositato, cristallizzato, quasi, il punto di
vista dei vincitori, di chi detiene saldamente il potere politico.
Contro tale stato di cose, poco o nulla potrebbero fare i vinti, i
diseredati; tra questi i malefadados, gli sventurati e
malcapitati sardi, insomma coloro che, cando sa merda at a àere
carchi balore, ant a nàschere sena culu (sono parole dello
stesso Masala).
Bene,
è il caso di rispondere: ma allora la ricerca storica, la
storiografia, gli studiosi, accademici o meno, cosa ci stanno a fare,
se non sono in grado di decodificare, decostruire e criticare? Si
tratta di partire da un'ipotesi, di verificarla, di collazionare i
documenti e di confrontarli, mettendoli in rapporto con i risultati
cui sono pervenute le indagini più salde ed aggiornate, individuando
le chiavi interpretative più adeguate ed approdando a tesi finali
congrue rispetto alle fonti ed alle conoscenze disponibili. Ho avuto
la fortuna di conoscere giovani assai valenti in questo campo: ciò
costituisce una grande consolazione, una sicurezza, un augurio per
tempi che siano sempre più consoni alla serietà degli studi
storici.
Il mensile del movimento politico "Su Populu sardu" |
“Abc”
settimanale fu caratterizzato da articoli di inchiesta e di forte
denuncia politica. Pubblicava inoltre foto, si podet nàrrere, de
fèminas iscollasciadas. L'attività di Pintore come giornalista
continuò con “L'Espresso”, “Mondo nuovo”, “Il Tempo
illustrato”, “L'Unità” ed altre testate. Nel 1971 fu anche
direttore responsabile del quotidiano “Lotta continua”. Tornato
in Sardegna, fu tra gli animatori di “Su Pòpulu sardu”, un
gruppo quanto mai innovativo, oggi poco valorizzato ed attualizzato,
che si adoperò, in polemica col vecchio sardismo ufficiale, per
un'efficace saldatura delle tematiche economico-sociali con quelle
imperniate sull'autodeterminazione e sul riconoscimento dell'isola
come nazione. Le
scelte politiche da lui fatte dopo lo scioglimento di “Su Pòpulu”
non erano, non sono, a mio avviso, condivisibili, ma questo non deve
comunque impedire di riconoscere i meriti della sua personalità
intellettuale. Fondò, fra l'altro, “Radiu Supramonte” - che si
esprimeva in lingua sarda - e diede vita ad un blog molto seguito ed
apprezzato. Citiamo almeno un suo libro godibilissimo: Sa losa de
Osana, un giallo ambientato nel mondo archeologico, un testo di
narrativa, scritto in un sardo quanto mai scorrevole, pubblicato
dalla casa editrice Condaghes, meritoriamente guidata da Francesco
Cheratzu. Il romanzo, nel 2010, ebbe il Premio Deledda. Il
libro di Ceccato contribuisce, fra l'altro, a delineare in modo più
articolato la vasta attività giornalistica, saggistica e letteraria
di Pintore.
Per
approfondire: momenti e problemi riguardanti gli anni settanta e
la strategia della tensione sono stati focalizzati, in particolare,
nelle ricostruzioni di storia dell'Italia contemporanea che dobbiamo
a Martin Clark (lo storico scozzese amico della Sardegna), Guido
Crainz, Piero Craveri (nella Storia d'Italia della Utet, diretta da
Giuseppe Galasso), Paul Ginsborg ed altri.
I
seguenti volumi investono una dimensione temporale che va ben oltre
il tema trattato: Aldo Giannuli, Il
Noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro,
Milano, Marco Tropea editore, 2011. A proposito del tentato golpe di
Junio Valerio Borghese (1970), Giannuli osserva opportunamente che
Andreotti non era certo così sprovveduto da tramare per
l'instaurazione di un governo che avrebbe potuto detronizzarlo; era
invece pronto ad utilizzare le trame dell'estrema destra, nonché di
settori dell'esercito, per rafforzare il proprio potere personale. La
posta in gioco era comunque per lui e per la Dc, come ha scritto
efficacemente Craveri, il mantenimento dell'assoluto immobilismo
politico.
Si
vedano ancora: Giorgio Galli, Piombo
rosso. La storia completa della lotta armata in Italia dal 1970 ad
oggi, Baldini Castoldi
Dalai, Milano 2013; Sergio Flamigni, Patto
di omertà. Il sequestro e l'uccisione di Aldo Moro: i silenzi e le
menzogne della versione brigatista,
Milano, Kaos edizioni, 2015; Carlo Feltrinelli, figlio di Giangi e di
Inge, che aveva appena 10 anni nel 1972, ha scritto la biografia
familiare Senior service,
Feltrinelli, Milano, 1999.
Mi
permetto infine di rinviare a Federico Francioni, Loredana Rosenkranz
(a cura di), I movimenti
degli anni Settanta fra Sardegna e Continente. Ricordando Riccardo
Lai, Condaghes,
Cagliari, 2017.
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