L‘iniziativa privata diventa sempre più aggressiva. Il SSN (Servizio Sanitario Nazionale) è sempre più in difficoltà e non riesce a soddisfare la domanda. Le politiche per la salute sono nel mezzo di una profonda trasformazione a livello internazionale. Con la presidenza Trump sono arrivati negli ultimi mesi gravi tagli ai finanziamenti per l’Organizzazione mondiale della sanità – che ha avviato una profonda ristrutturazione interna e una riduzione delle proprie attività – la chiusura dell’US AID, che finanziava molti progetti sanitari nel Sud del mondo, la riduzione dei fondi per i NIH (National Institutes of Health). Per contro si fa più aggressiva l’iniziativa privata e crescono quelle finalizzate a costruire un “secondo pilastro”: fondi sanitari, assicurazioni e welfare aziendale. Il segnale di crisi del SSN regionale: è dato dalla continua modificazione dell’organizzazione delle strutture operative a livello regionale. Prima si sono creati gli ospedali hub and spoke; poi si è creata l’ATS (Azienda Tutela della Salute), unica per la Regione, a immagine dei modelli lombardi; si è abbandonata l’ATS e si è creata l’ARES (Azienda Regionale Salute) e otto ASL (Aziende Sanitarie Locali).
Oggi assistiamo ad un nuovo
intervento legislativo sulla sanità (LR 11/03/2025 n°8). Tutte queste modifiche
legislative non hanno prodotto cambiamenti in positivo della sanità negli
ultimi anni e bisogna di conseguenza pensare ad altre vie.
Che cosa si può fare per
invertire il declino del SSN? In sintesi si possono ipotizzare cinque azioni
principali:
1)
Definire una posizione politica chiara sul mantenimento della
sanità nella sfera pubblica non solo a parole ma anche nei fatti. Secondo la Fnomceo (Federazione nazionale degli Ordini dei
medici), dal 2012 al 2022, per le figure sanitarie,
a tempo determinato o interinale, si registra un balzo di +75,4%. Nello
stesso periodo, le figure sanitarie a tempo indeterminato sono aumentate solo
del 2,6%. La spesa per lavoro a tempo
determinato, consulenze, collaborazioni, interinale e altre prestazioni di
lavoro sanitarie e sociosanitarie, provenienti dal privato, è stata pari a 3,6 miliardi di euro nel 2022, con un incremento del
+66,4% rispetto al 2012. Nello stesso periodo, la spesa per il personale permanente è aumentata solo del
6,4%. La spesa sanitaria si compone di due macro-categorie: spesa pubblica e
spesa privata, che include quella intermediata da fondi sanitari e da
polizze assicurative e la spesa out-of-pocket, direttamente sostenuta
dalle famiglie. Queste tre componenti sono coerenti con le leggi di riforma
sanitaria, in particolare il DL 502/92, che hanno implicitamente individuato
tre pilastri su cui basa il SSN per garantire il diritto alla tutela della
salute:
• La
sanità pubblica, basata sui principi di universalità, equità e solidarietà
• La
sanità collettiva integrativa, attraverso i fondi sanitari
• La sanità individuale, attraverso polizze
assicurative.
• € 45.862 milioni di spesa privata, di cui:
o € 40.641 milioni di spesa out-of-pocket
o € 5.221 milioni di spesa intermediata:
▪ € 3.988 milioni: assicurazioni sanitarie volontarie
▪ € 445 milioni: istituzioni senza scopo di lucro
▪ € 788 milioni: imprese
• Sgravio contributivo per incentivare
l’assunzione di personale e la sua permanenza all’interno del sistema pubblico,
riducendo il carico fiscale e facilitando la gestione delle risorse umane nel
SSN;
•
Detassazione
stabile al 5% per gli straordinari e i premi di risultato, al fine di premiare
i professionisti che mettono a disposizione ore extra per colmare le carenze
strutturali e rispondere alle emergenze del sistema sanitario. Piani
straordinari di assunzione, con incentivi di carriera per chi lavora in aree
disagiate o reparti ad alta intensità;
•
Promozione
del benessere lavorativo, attraverso politiche di prevenzione del burnout
e di sostegno psicologico, con focus sulla qualità della vita lavorativa e
l’organizzazione del lavoro.
•
Aggiornamento degli attuali profili
professionali per garantire che siano al passo con le innovazioni scientifiche
e tecnologiche e che riflettano le reali esigenze del sistema sanitario
moderno.
•
Potenziamento
dell’autonomia professionale, per dare ai professionisti il ruolo di
protagonisti nella promozione della salute pubblica e nel miglioramento della
qualità delle cure.
• Digitalizzazione funzionale per ridurre il
carico burocratico, migliorare l’efficienza e liberare tempo per le attività
assistenziali dirette, permettendo un miglior utilizzo delle risorse umane nel
sistema sanitario.
•
Investire
in tecnologie digitali accessibili e interoperabili, coinvolgendo il personale
sanitario nei processi decisionali per creare un sistema sanitario più agile e
orientato ai bisogni dei cittadini.
• Rivedere la normativa sui lavori usuranti per riconoscere come tali le professioni sanitarie più esposte a rischi e stress, come infermieri, operatori socio-sanitari e medici.
3) Il problema principale della
sanità in Sardegna è che Regione e Asl non governano i bisogni di salute della
popolazione ma lavorano sulla base della domanda indiscriminata. Se il SSN, attualmente in
grosse difficoltà, fosse un’azienda privata, l’amministratore si sarebbe
organizzato per individuare le difficoltà e i problemi, pesando la capacità di
risolvere in proprio o chiedendo aiuto esterno.
Attualmente tutti chiedono di accedere al SSN ma non esiste nessuna
verifica dei bisogni reali. Per fare questo la Regione deve uniformare i
sistemi informativi regionali (ASL 1 e AOU hanno sistemi che non comunicano),
ogni ASL, o meglio ogni distretto, deve conoscere il numero dei ricoveri e il
numero dei pazienti cronici con rispettive diagnosi. L’ASL dovrebbe inoltre
aver chiare le proprie capacità di lavoro per quanto riguarda le cure primarie,
la specialistica e i ricoveri. Sulla base di queste informazioni dovrebbe
programmare le visite periodiche per i cronici, l’assistenza ai pazienti
dimessi dall’ospedale e la distribuzione dell’utenza sulla base delle capacità
di lavoro: ospedale, territorio e convenzionati. Questa procedura si chiama
offerta proattiva Altro punto importante è la presa in carico dei pazienti; che
in altre parole vuol dire che un solo medico gestisca il paziente, ne conosca
le condizioni specifiche, richieda e riceva gli accertamenti e prescriva i farmaci.
4) Nonostante lo scopo ultimo della sanità sia
sempre quello di garantire la salute del paziente, alcuni fattori contingenti,
come la politica sanitaria e la disponibilità di risorse, costringono il
settore a raggiungere questo risultato in un’ottica di efficacia (puntare
all’obiettivo) ed efficienza (con il miglior utilizzo possibile delle risorse
umane, tecnologiche ed economiche disponibili). L’uso
degli indicatori di qualità in ambito sanitario è
utile per diversi motivi:
• permettono il monitoraggio
dell’efficacia di cura fornite;
• sono in grado di evidenziare le
aree dove è possibile migliorare ancora, o dove insorge un rischio sulla
sicurezza dei pazienti;
• la trasparenza dei dati e il
confronto, con le altre strutture su diversi piani, responsabilizzano la
dirigenza e gli operatori a fare meglio;
•
dà al paziente la possibilità di scegliere la migliore struttura
in cui farsi curare.
Non penso che
esista un’azienda privata che non faccia il controllo economico e di qualità
delle proprie attività almeno una volta all’anno. Alcune valutazioni, sulla base di alcuni
indicatori, vengono fatti dall’AGENAS (Agenzia Nazionale Sanità), tuttavia
credo che la Regione non possa esimersi da una propria valutazione più approfondita.
A sostegno di questa affermazione, possiamo ricordare che secondo la FADOI
(Federazione Associazione Dirigenti Ospedalieri Internisti), a livello
nazionale, il 25% dei ricoveri nei reparti di medicina sono impropri. In
Sardegna si fanno gli screening della Mammella, del Colon e della Cervice
uterina, ma nessuno verifica se la qualità della vita dei pazienti è migliorata
o la mortalità diminuita. Per i pazienti oncologici, si fanno terapie, che sono
molto costose, ma non ne conosciamo i risultati.
5) L’articolo 13 della legge regionale n° 8/2025 istituisce l’IRCS
(Istituto di Ricerca a Carattere Scientifico) nell’ospedale Brotzu di Cagliari
ed il CRPPS (Centro Regionale per la Prevenzione e la Promozione della Salute)
nell’azienda socio-sanitaria locale n. 7 del Sulcis. L’ospedale Brotzu dovrebbe
diventare una struttura altamente specializzata su argomenti specifici
(oncologia), e quindi verrebbe meno una funzione di ospedale generale, che non
si sa a chi verrà affidata. Per quanto riguarda il CRPPS possiamo ricordare
che, per la sorveglianza della sola specialità dell’oncologia, a Sassari si
aveva bisogno di collaborazione con gli Istituti tumori di altre regioni e con
l’Istituto Superiore di Sanità, nonostante la presenza della Facoltà di
medicina dell’Università. Ora si propone di mandare in periferia una struttura
con funzioni molto ampie e gravose.
L’autore dell’articolo, Mario Budroni,
medico epidemiologo, ha curato per vari anni il Registro Tumori della Provincia
di Sassari, unitamente al prof. Francesco Tanda, docente nell’Ateneo turritano.
Commenti