IL SOVVERSIVISMO DEL VERTICE USA ALL’ASSALTO DI CAPITOL HILL, di Federico Francioni

 

 



Un precedente storico – Quella che è stata la prima, effettiva guerra mondiale (1812-1815) – Washington, la Casa Bianca ed il Campidoglio dati alle fiamme dagli inglesi nel 1815 – La categoria della sovversione “dall’alto” non va applicata solo ai ceti dirigenti italiani – La strategia della tensione – Conclusioni.

Un precedente storico. Rispetto agli avvenimenti di Washington del 6 gennaio 2021 – una data che segna una svolta nella storia americana, foriera di sviluppi non tutti facilmente pronosticabili – un precedente si può indubbiamente rinvenire, ma si tratta di un attacco dovuto al più pericoloso, per allora, degli aggressori esterni. Nel 1812, infatti, durante la presidenza di James Madison, scoppia una guerra fra gli Stati Uniti e la Corona britannica, che si conclude con la pace di Gand (in Belgio) del 1815: si ritorna alla situazione antecedente, ma con una vittoria, di fatto, degli Usa. Un conflitto che rappresenta un’articolazione ed uno sviluppo di quello divampato sul piano economico fra gli inglesi e la Francia.

Al Blocco continentale, scatenato nel 1807 da Napoleone Bonaparte per rovinare le produzioni ed i traffici della Monarchia britannica, il governo di quest’ultima rispose, nello stesso anno, con gli Orders in Council. Nel mondo, l’intero movimento commerciale ne fu pesantemente condizionato; le logiche degli antagonisti erano inconciliabili e creavano non pochi problemi ai paesi neutrali; anche il Mediterraneo fu investito dalle conseguenze di queste politiche, ma sarebbe sbagliato vederlo come totalmente “sigillato” e configurare, ancora una volta, la stessa Sardegna come tagliata fuori, a maggior ragione, da ogni tipo di flusso. Di fatto, nonostante la gravissima crisi socioeconomica del 1812-13, approdarono a Cagliari bastimenti inglesi e americani (neutrali), ma anche ottomani, spagnoli, maltesi, siciliani e napoletani (sia permesso rinviare a F. Francioni, Per una storia segreta della Sardegna fra Settecento e Ottocento. Saggi e documenti inediti, Condaghes, Cagliari, 1996, p. 122).

Quella che è stata la prima, effettiva guerra mondiale (1812-1815). Nel 1812, Napoleone, per blindare tutta l’Europa contro il commercio britannico, decide di attaccare l’Impero zarista, ma la Grande Armée, formata da centinaia di migliaia di uomini di varia provenienza (italiani compresi), più che dalle indubbie capacità tattiche del feldmaresciallo russo Michail Kutuzov, viene sconfitta dal “generale tifo” e dal “generale inverno” (così sono stati definiti). Tale disfatta segna l’inizio della fine dell’egemonia napoleonica. In ogni caso, i colpi al commercio degli inglesi investono una dimensione globale. Non è dunque fuori luogo affermare che, col 1812, siamo ormai in quella che può essere definita come la prima, effettiva, guerra mondiale (chi scrive l’ha ricavato, in particolare, da conversazioni e da indicazioni dell’amico Paolo Cau, della Soprintendenza archivistica regionale). Si tratta infatti di un anno cruciale: è quello delle Cortes di Cadice e della Costituzione siciliana. Anche la Sardegna – a Cagliari, dove risiede la corte di Vittorio Emanuele I, si trova anche William Hill (rappresentante del governo inglese) – non rimane estranea alle vicende europee; lo dimostra, in quel fatidico 1812, la congiura cagliaritana che avrebbe dovuto portare ad una replica dell’insurrezione del 28 aprile 1794: la cacciata di ministri, ufficiali e funzionari piemontesi.

Ma il carattere di prima guerra mondiale è dato non solo dalla guerra commerciale, dal Blocco continentale e dalla spedizione in Russia, ma anche dal conflitto anglo-americano del 1812-15. 

Washington, la Casa Bianca e il Campidoglio dati alle fiamme dagli inglesi nel 1815. Due momenti vanno soprattutto ricordati degli eventi bellici del 1812-15: il 10 settembre 1813 si registra una vittoria navale americana nella regione dei Grandi Laghi; dal canto loro gli inglesi, nel 1815, riuscirono ad entrare a Washington: la Casa Bianca e il Campidoglio vennero dati alle fiamme. Ma, va ribadito, questo primo scempio delle istituzioni statunitensi venne perpetrato da un nemico esterno che non aveva riconosciuto l’indipendenza americana e che pretendeva, fra l’altro, di arruolare nella propria marina i cittadini americani di nascita inglese.

Invece, lo sfregio a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 si deve a un soggetto politico interno, formato dalla destra repubblicana con frange nazifasciste, antisemite e razziste, da suprematisti bianchi, complottisti e terrapiattisti: tutti questi soggetti deliranti sarebbero in lotta, a quanto essi stessi dicono, con il Deep State, lo Stato profondo, dominato da non meglio specificati “Illuminati” della Massoneria, in grado di impartire ordini e di farsi obbedire dai governi, perfino dai petrolieri e da altri “poteri forti”. Tutte queste componenti reazionarie hanno ricevuto inaspettata cittadinanza e visibilità politica con la presidenza di Donald Trump che del resto li ha incitati apertamente e si è servito di loro. Quanto è successo non può essere classificato come classico, tradizionale colpo di Stato, ma come atto di sovversione voluto dall’alto. Tuttavia, non sappiamo ancora con precisione di quali complicità nei settori dello Stato abbia goduto nei giorni scorsi il presidente e quali davvero fossero i suoi obiettivi.

La categoria della sovversione “dall’alto” non va applicata solo ai ceti dirigenti italiani. Adottata questa cautela, va ricordata l’elaborazione del sardo Antonio Gramsci, tra i massimi pensatori del Novecento che, nell’ambito della letteratura italiana, con i suoi Quaderni del carcere, è fra gli autori più tradotti, studiati e citati nel mondo. Egli si sofferma, specialmente nel periodo precarcerario, sulla vocazione “sovversiva” dei ceti dirigenti italiani. In effetti, è il caso di ricordare: l’autoritarismo di Francesco Crispi (presidente del Consiglio dal 1887 al 1891 e dal 1893 al 1896); le leggi liberticide del generale savoiardo Luigi Pelloux (alla guida del governo dal 1898 al 1900, ha significativamente lasciato delle memorie in lingua francese), provvedimenti che furono bloccati dall’ostruzionismo parlamentare della sinistra; per quanto riguarda l’Ottocento preunitario, non va certo trascurata la politica sabauda che, fra l’altro, portò, nel 1852, alla dichiarazione dello stato d’assedio per Sassari (e non fu di sicuro il solo caso), con affidamento del potere ai militari (oggetto di memorabili proteste dei parlamentari sardi, come scrivono Enrico Costa e Girolamo Sotgiu).

Per tutta una serie di motivi, c’è discontinuità fra il “colpo di Stato della borghesia” (così è stato chiamato il disegno che Pelloux cercò di porre in atto) ed il fascismo, giunto al potere tramite una base di massa, poi adeguatamente irreggimentata: ciò però non deve indurre a considerare quella fascista un’effettiva rivoluzione, così come proclamava Benito Mussolini; lo stesso termine, su presupposti teorico-metodologici ed approcci certamente ben diversi, fu utilizzato da Renzo De Felice nella sua peraltro importante e puntigliosa biografia del dittatore, la quale si configura anche come storia di tutto il suo percorso dal movimento al regime.

Lo stesso Gramsci, nel suo debutto (del 1925) alla Camera dei deputati (continuamente interrotto da Mussolini), contestò drasticamente la rivendicazione del carattere rivoluzionario del fascismo (si veda la Vita di Antonio Gramsci, che si deve a Giuseppe Fiori). Il pensatore e uomo politico sardo sostenne egregiamente in Parlamento – polemizzando direttamente con lo stesso Mussolini – che una rivoluzione è quel moto che si propone di sostituire una classe sociale con un’altra: obiettivo ben lontano da quello del duce che, su tale piano, si proponeva solo un avvicendamento di personale politico e di apparati.

D’altra parte, sarebbe errato non vedere anche una linea di continuità fra Pelloux e Mussolini, rappresentata da una costante della storia politica: la tendenza alla sovversione degli ordinamenti statutari e costituzionali, propria, per l’appunto, dei ceti dirigenti italiani.

Insomma, Trump ha usato la folla che ha dato l’assalto a Capitol Hill non per attuare un colpo di Stato di tipo fascista o latino-americano ma perché la sua presidenza ha mostrato un carattere di sovversione dall’alto rispetto alle fondamentali conquiste della rivoluzione americana. Sì, perché spesso e volentieri si dimentica che alla guerra d’indipendenza contro gli inglesi era strettamente abbinata una rivoluzione che condusse ad una Repubblica democratica e costituzionale.


La strategia della tensione. Antonio Tejero, il 23 febbraio 1981, occupò le Cortes spagnole per un golpe fortunatamente fallito. Alla metà degli anni Settanta, si badi bene, erano ancora vigenti le dittature fasciste dei colonnelli greci, dello spagnolo Francisco Franco, del portoghese Marcelo Caetano, succeduto nel 1968 ad Antonio Salazar. Dietro l’incursione di Tejero potevano ben avvertirsi le cupe ombre ed i cascami del regime franchista. 

La sovversione “dall’alto” – che porta negli Stati Uniti al 6 gennaio 2021 – si manifesta attraverso le decisioni di Trump, nonché di personaggi, forze ed organismi da identificare con precisione: si paragoni, per esempio, lo schieramento inviato a guardia di Capitol Hill per fronteggiare le manifestazioni antirazziste di Black Lives Matter, da una parte, la turba di manifestanti che fa irruzione nelle scalinate, nelle aule e negli uffici del Campidoglio, dall’altra. Un agente di polizia non ha esitato nel farsi un selfie con questi incursori.   

Ricordo ancora lo sgomento e lo smarrimento di molti di noi di fronte al dispiegarsi della strategia della tensione che ha un suo sicuro precedente nel Piano Solo: voleva dire “Solo per i Carabinieri”, in quanto Antonio Segni, allora presidente della Repubblica, non si fidava pienamente della Polizia di Stato. Nella drammatica estate del 1964, il generale Giovanni De Lorenzo giunse a Sassari e venne ricevuto da Segni nella sua residenza di viale Umberto (palazzo Carta Caprino), diventata in seguito sede del Dipartimento di Storia dell’Ateneo turritano.

Il Piano Solo prevedeva, fra l’altro, la deportazione in Sardegna di sindacalisti ed esponenti politici appartenenti alla sinistra. In effetti, il Piano non ebbe concreta attuazione perché si arrivò alla formazione del nuovo governo di centro-sinistra, con il Psi che fece marcia indietro rispetto a obiettivi di riforma che tanto allarmavano la Democrazia cristiana.

Conclusioni. La ricerca e l’imposizione dell’assoluto immobilismo ad opera della Dc e dello schieramento politico dominante non hanno mai escluso l’uso dei Servizi segreti deviati e ed il ricorso anche alla minaccia della Destra più eversiva, come dimostra, per fare solo un esempio, il tentativo di Junio Valerio Borghese. Come ha efficacemente chiarito lo storico Aldo Giannuli, significherebbe sottovalutare la sopraffina intelligenza di Giulio Andreotti il pensare che un esponente politico di quella stazza volesse dare spazio e potere alla Destra golpista. Insomma, torniamo alla categoria gramsciana del sovversivismo dei ceti dirigenti italiani, sempre pronti a mettere in discussione fondamentali conquiste sociali e politiche.

Ciò che Gramsci ha scritto può essere proficuamente applicato anche al tentativo di Trump di aggrapparsi ad un potere ormai traballante e che corre verso una fine ingloriosa, anzi, ignominiosa. Per questo è stato sconfessato dal leader leghista Matteo Salvini, suo tifoso fino a un minuto prima.

Lo storico francese Jacques Godechot e lo statunitense Robert Roswell Palmer, con modalità diverse, hanno parlato di “rivoluzione atlantica” in riferimento a quel grandioso sommovimento che dalla rivoluzione americana conduce all’Ottantanove francese. Anche coloro, come il sottoscritto, che non hanno certo il mito degli Usa devono riconoscere l’importanza della svolta del 1776 (Dichiarazione d’indipendenza). Certo, già nell’ambito dell’Illuminismo italiano, dopo la nascita degli Stati Uniti, si sostenne che quella grande, indubbia realizzazione era comunque macchiata dal “commercio infame” e dal sistema schiavista. In ogni caso, anche dalle vicende ultimamente verificatesi negli Usa dipendono le sorti della democrazia nel mondo che oggi – per tutta una serie di fattori economici, sociali e politici globali – risulta in pericolo.     

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