UNA LETTURA CRITICA DELLA LE GGE DI INIZIATIVA POPOLARE "PROPORZIONALE SARDA” PROPOSTA DA LIBERU. ALCUNE POSSIBILI CORREZIONI. di Paolo Mugoni




Ad un mese dalla prima conferenza stampa di Liberu, dove si annunciava la proposta di legge elettorale di iniziativa popolare per il consiglio regionale della Sardegna, in una nuova conferenza stampa tenutasi a Cagliari il 5 ottobre, esattamente un mese dopo veniva diffuso l’articolato. Rispetto alla sintesi della proposta presentata il 5 di settembre nell’articolato presentato a Cagliari sabato scorso ci sono stati dei cambiamenti. Il più importante ed il più evidente è la percentuale di voti per ottenere il premio di maggioranza che è passato dal 25% al 34%.
Ad una prima lettura queste sono le novità:
l’abolizione del voto disgiunto (Art. 1 comma 4), il collegio unico (art. 1 comma 2), il premio di maggioranza (art 8), due sistemi di elezione del presidente della giunta regionale e quindi due filosofie politiche distinte in una unica legge (art 8 e 9), la parità di genere (art. 6), il mantenimento delle attuali circoscrizioni elettorali per quanto concerne i candidati da proporre (art. 5 comma 3 e 4), abolizione totale degli sbarramenti del 5% in caso di singole forze politiche e del 10% in caso di coalizioni, impossibilità di fare delle coalizioni tra forze politiche affini ma distinte (art. 1 comma 5)
Vediamoli nel dettaglio tenendo presente che alcuni punti sono legati tra di loro e vanno affrontati in maniera congiunta:

a) L’abolizione del voto disgiunto rappresenta una novità positiva, perché va a stroncare quella pratica molto diffusa in Sardegna di voto legato alle clientele, alle “comparie”, amicizie personali, etc. che si esprime attraverso il meccanismo del voto disgiunto, ovvero della possibilità di votare un presidente, un programma politico che questo presidente incarna e nel contempo si vota il candidato di un’altra coalizione/lista con un presidente che incarna un altro programma, rappresenta un altro schieramento politico. Ora, con l’abolizione si spera che gli elettori possano votare avendo presente che anche la preferenza ad un singolo consigliere rappresenta un unicum con il candidato presidente ed il suo programma;

b) Buono mi sembra il meccanismo della parità di genere con il 50% delle liste obbligatoriamente costituite dal 50% di ogni genere e con la possibilità della doppia preferenza. Quello che mi lascia perplesso è in che modo possa incentivare l’elezione di donne in Consiglio il collegio unico regionale rispetto alla ripartizione in otto collegi.

c) Il collegio unico è una delle novità più sostanziali della proposta di legge ma non si leggono del tutto le ragioni di questa scelta peraltro in contraddizione con la permanenza delle circoscrizioni per quanto concerne la scelta dei candidati. Quando nelle leggi elettorali si procede dividendo il territorio (statale, regionale, etc) in circoscrizioni l’intenzione del legislatore, così come previsto dalla Costituzione e da sani e corretti principi democratici, è quello di conservare un rapporto diretto tra eletto e circoscrizione elettorale dove è stato candidato, conservando in tal modo quella rappresentanza eletto/elettore/territorio. Nel meccanismo previsto dalla proposta il candidato viene scelto in uno specifico territorio (quindi candidato residente in quel territorio?) ma poi viene votato in tutto il territorio regionale inficiando in questo modo quel principio di eletto/elettore/territorio che a mio parere rappresenta uno degli elementi portanti della volontà democratica. Può capitare il caso che un candidato venga scelto nell’intento di rappresentare un territorio ma, nel corso delle elezioni, il suo consenso provenga prevalentemente da altri territori. In questo caso, ed altri se ne possono configurare, la rappresentanza dove si incarna? Nel territorio dove è stato candidato o nel territorio/territori dove è stato maggiormente votato? Un sistema coerente avrebbe dovuto optare per una delle due possibilità: 1) collegio unico e candidati scelti senza nessun riferimento circoscrizionale ovvero riferiti al collegio unico; 2) mantenimento della Sardegna in circoscrizioni ed assegnazione delle quote di seggi per ciascun collegio rimanendo in questo modo l’eletto ancorato al suo territorio e rispettando in questo modo quel rapporto ottimale tra eletto/elettore e territorio. Tertium non datur!

d) Nel premio di maggioranza ed elezioni del presidente della giunta purtroppo alberga la maggiore ambiguità di questa proposta. Legare le modalità di elezione del presidente della giunta regionale al raggiungimento o meno del quorum per il premio di maggioranza denota che, nella migliore delle ipotesi, non si abbia avuto il coraggio di fare una scelta netta, maggioritario o proporzionale, elezione diretta del presidente o elezione in Consiglio previo accordo posteriore alle elezioni tra forze politiche che compongono il consiglio. Come si può facilmente capire sono due filosofie che in sostanza hanno un approccio diverso rispetto ai due concetti fondamentali che devono essere presenti in una legge elettorale, rappresentanza e governabilità. Questi due fattori devono stare in equilibrio, venendo a mancare il quale si determina un vulnus dei principi democratici, che non consistono solo nella rappresentanza bensì nell’equilibrio tra rappresentanza (incarnare la volontà degli elettori) e governabilità (dare vita al programma elettorale garantendo una maggioranza solida che ne permetta l’agevole implementazione). Questo equilibrio non è un equilibrio raggiungibile solo dal punto di vista teorico ma anche attraverso una attenta lettura della realtà politica cui ci si riferisce, in questo caso quella regionale/nazionale. Si tratta di saper dosare tutti gli elementi a disposizione, come un antico speziale dosava gli elementi che andavano a costituire il farmaco e mancando l’equilibrio tra componenti si rischiava di danneggiare il malato, il legislatore deve saper dosare tutti gli elementi conoscitivi a disposizione. Si rischia altrimenti di partire con le migliori intenzioni ma arrivare a danni irreversibili. Inoltre il meccanismo che prevede l’elezione diretta del Presidente della Giunta solo se una forza politica raggiunge il 34% prefigura due sistemi concettualmente e giuridicamente antitetici. Nel caso del raggiungimento del quorum del 34% e dell’elezione diretta del Presidente si avrebbe un sistema proporzionale corretto attraverso un meccanismo maggioritario e l’applicazione del sistema simul stabunt simul cadent nel rapporto tra presidente eletto direttamente e consiglio regionale. In questo senso si è già espressa la Corte Costituzionale nella sentenza n. 2 del 2004 che ha escluso la non applicabilità del principio nel caso di elezione diretta del Presidente. Scrive Omar Chessa professore di diritto costituzionale all’Università di Sassari in “ O.Chessa, P.Pinna, La riforma della regione speciale tra Legge statutaria e Statuto speciale, Torino, Giappichelli, 2008 , , che “se si sceglie il regime dell’elezione diretta occorre altresì occorre adottare la clausola del simul stabunt simul cadent; e quindi le dimissioni, la morte, l’impedimento permanente del Presidente eletto direttamente a suffragio universale, ovvero la sua sfiducia da parte del Consiglio, determinano lo scioglimento anticipato del Consiglio e il ritorno alle urne”. Prosegue Chessa che, “dati questi paletti, di fronte al Consiglio regionale si parava un’alternativa secca: o confermare il regime dell’elezione diretta con tutto ciò che ne consegue (per effetto della pronuncia della Corte) o ripristinare il modello parlamentare precedente”. Insomma i due modelli previsti nella proposta di legge chiamata forse erroneamente “Proporzionale sarda” non sono compatibili e si crea un guazzabuglio di sospetta incostituzionalità, si crea una confusione nell’elettorato che, convinto di votare per l’elezione diretta del Presidente, si ritrova con la possibilità che il Presidente venga eletto in Consiglio. Facciamo un esempio di ciò che può comportare tale meccanismo. Si presentano alle elezioni 7 liste con 7 candidati Presidente e nessuna delle forze politiche arriva al 34% ma una lista arriva al 32%, quindi rappresenta una fetta consistente dell’elettorato e nell’immaginario degli elettori (in una parte di essi) il Presidente candidato da questa lista appare come il “legittimo” Presidente. Una volta arrivati in Consiglio una parte delle forze politiche rappresentate si mette d’accordo, raggiunge il 51% di voti in aula ed elegge, per ragioni di opportunità politica, il candidato Presidente di una lista minore. Insomma tutto legittimo ma, agli occhi degli elettori, saremmo in presenza di un “usurpatore” che è diventato Presidente con una modesta quantità di elettori. Insomma come ben si evince da quanto esposto in precedenza la convivenza di due sistemi di rappresentanza e di elezione del Presidente della Giunta regionale non possono convivere. Peraltro, candidando un Presidente per l’elezione diretta e poi eleggendolo in Consiglio con la volontà della maggioranza dei 60 consiglieri, e non attraverso la volontà popolare, come farebbe supporre la possibilità di elezione diretta, si configurerebbe una sorta di manipolazione: candido una forte personalità come Presidente, tu elettore mi voti e dai il consenso alla mia lista anche perché ho questo candidato ed invece, visto che non raggiungo il quorum previsto, il Presidente lo scelgono i Consiglieri. Sarebbe stato meglio optare per uno dei due sistemi, elezione diretta del Presidente e ad hoc costruire una legge elettorale coerente che ne permettesse l’elezione o un sistema parlamentare senza nessun candidato Presidente per l’elezione diretta ed il ritorno al modello parlamentare che è rimasto in vigore sino a che è stata introdotta la legge del cosiddetto “Governatore”. Questa sorte di stallo è presente in quanto nella legge non si sono voluti affrontare due “tabù” ovvero le soglie per essere rappresentati in Consiglio e la possibilità della presentazione di coalizioni di liste con candidato lo stesso Presidente. Sino ad oggi questi due problemi sono stati vissuti con negatività da parte dei partiti/movimenti indipendentisti perché come tutti noi sappiamo alle elezioni del 2014, a causa di soglie di sbarramento eccessive ed ingiuste, la coalizione di liste guidata da Michela Murgia, nonostante un evidente successo e percentuali alte di consenso non riuscì ad eleggere un solo consigliere vanificando in tal modo oltre 70.000 voti. Stesso dicasi per le ultime elezioni regionali dove nessuno dei tre schieramenti indipendentisti presenti riuscì nell’impresa di piazzare un consigliere regionale. Una soglia ragionevole (2 o 3%) avrebbe permesso rappresentatività e governabilità). Stesso discorso vale per la impossibilità di presentarsi in coalizione nella proposta di legge “Proporzionale sarda”. I partiti “italiani” hanno, in modo spregiudicato vinto le elezioni attraverso coalizioni di svariati partiti, alcuni dei quali costituiti appositamente per le elezioni, con differenze notevoli ma accomunati tutti dal desiderio di conquista del potere. I risultati delle amministrazioni scaturite da questo meccanismo è sotto gli occhi di tutti. Mi domando se proibirle, non prevederle, sia la soluzione o si potevano trovare meccanismi che premino le alleanze stabili e radicate nei territori con anni di presenza ed azione comuni? Questi meccanismi avrebbero potuto incentivare quell’universo sparso di movimenti/partiti, associazioni, che nonostante tutto continuano a proliferare nel campo dell’autodeterminazione, a fare rete e a radicare una presenza costante e fattiva nel territorio e avrebbero permesso una legge giuridicamente univoca e coerente e politicamente efficace.

Post scriptum
Queste righe sono scaturite dalla lettura della proposta di legge del partito indipendentista Liberu che, legittimamente, ha elaborato e presentato una proposta di legge di iniziativa popolare. Diritto e dovere di ogni formazione politica è proprio quello dell’autonoma iniziativa, della sua visione e delle sue azioni e su questo credo che non ci possano essere equivoci di sorta. Il mio intervento, che ha un valore relativo in quanto non sono un costituzionalista esperto in diritto costituzionale regionale ma un semplice appassionato memore di una formazione giuridica ormai lontana nel tempo, è una riflessione senza alcuna pretesa e non ha intenzione di criticare Liberu in quanto tale, bensì esprimere un parere su questo specifico punto, punto che per la sua complessità e delicatezza avrebbe forse meritato un diverso iter con il coinvolgimento preventivo almeno dei compagni di viaggio di Autodetrminatzione e di altri soggetti dell’area, in modo da incentivare una discussione ed un confronto che avrebbe potuto portare ad altri risultati. Si tenga presente che in passato, anno 1978, si percorse la stessa strada della legge di iniziativa popolare per la lingua sarda. Proposta che fu frutto di ampia discussione tra le varie voci del movimento anticolonialista con in testa come promotori i giornali che all’epoca si pubblicavano, Natzione sarda, sa Repubblica sarda e su Populu sardu ed anche lo stesso movimento politico “Su Populu sardu”, varie associazioni, collettivi e comitati costituiti ad hoc nei vari territori. Questo permise l’agevole raccolta delle firme. La fece propria in Consiglio regionale il PSd’Az che la propose alla discussione ma purtroppo a causa della posizione che aveva il PCI sulla lingua sarda (alleato di governo con il PSd’AZ nella Giunta Melis e fortemente contrario al riconoscimento del sardo) la proposta venne bocciata. Oggi, se possibile, sul tema della legge elettorale, il clima è peggiore di allora, visto che la maggioranza in consiglio ha firmato per sopprimere la quota proporzionale della legge elettorale per le elezioni del parlamento e quindi, fermo restando che questo non deve scoraggiare nel proseguire con convincimento l’azione intrapresa, occorre essere consapevoli che una legge elettorale di iniziativa popolare per quanto raccolga le firme necessarie non sempre si tramuta in legge, necessitano per questo alleanze e condivisione.

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