Premessa
- Andare oltre l'isolitudine - Momenti dell'itinerario di
Dessì: Introduzione alla vita di Giacomo Scarbo - In Paese
d'ombre un cambio di prospettiva - La produzione teatrale:
Eleonora d'Arborea e lo Stato sardo - Il giallo e il noir
come tendenza mainstream strombazzata dai mass-media -
Conclusioni.
Premessa.
Da lunedì 25 a giovedì 28 febbraio 2019 si è tenuto a Cagliari un
seminario internazionale sulla produzione narrativa di Andrea
Camilleri, creatore del commissario Salvo Montalbano. Com'è noto, la
serie televisiva con al centro il personaggio interpretato da Luca
Zingaretti è stata seguita in vent'anni da oltre un miliardo di
spettatori nel mondo. Organizzatore e animatore dell'evento
cagliaritano - con una tappa a Villacidro, paese di Giuseppe Dessì
- è stato Giuseppe Marci, docente di Filologia della letteratura
italiana e già preside di Facoltà nell'Ateneo del capoluogo. Alle
giornate di studio ampio spazio è stato dedicato soprattutto dal
quotidiano sassarese “La Nuova Sardegna”. In attesa di leggere
gli atti dell'incontro, sarebbe opportuno, anzi, doveroso, per
rendere giustizia ad entrambi gli autori, andare oltre una lettura
superficiale che si fermi ai paralleli fra gli ambienti e le culture
delle due isole. A ben vedere, infatti, esiste un significativo punto
di divaricazione fra Dessì e, se non altro, il Camilleri di
Montalbano.
Andare
oltre l'isolitudine. Appare legittimo proporre e
tracciare più di un comparazione fra Giovanni Verga, Luigi
Pirandello, lo stesso Camilleri, da una parte, lo scrittore sardo,
dall'altra, sulla base dell'influenza indubbia che l'essere isolani
ha esercitato sulle opere di questi ed altri autori. Si è fatto,
ancora una volta, ricorso alla isolitudine - categoria che si
deve allo scrittore Gesualdo Bufalino - cui si può, volendo,
avvicinare anche quella di paesitudine, invocata, fra l'altro,
nel dibattito sulla resistenza allo spopolamento che colpisce
drammaticamente la Sardegna.
Tuttavia,
nella storia moderna e contemporanea - e ciò non bisogna scordarlo -
la Sicilia, perfino negli anni delle falcidianti pestilenze
seicentesche, è stata comunque considerata dagli storici come un
“pieno”, in contrapposizione ai paurosi “vuoti” di
sotto-popolamento e spopolamento spalancatisi in Sardegna. Questi
trend sono stati messi efficacemente in luce - certo, con accenti,
metodi ed anche risultati diversi - da studiosi come il
franco-americano John Day e Carlo Livi. Dovrebbe essere sufficiente,
se non altro, la dimensione demografica del Napoletano e della
Sicilia a spingerci ben oltre quelle frettolose e superficiali
posizioni (ciò peraltro non va detto in polemica con Marci) che, da
tempo, fanno confluire la questione sarda in un magma indistinto
chiamato “questione meridionale”: tutto ciò in barba alla
rigorosa distinzione gramsciana fra le tre “sezioni” del
Mezzogiorno: Napoletano, Sicilia e Sardegna. Non basta il riferimento
all'olivo saraceno della Sicilia pirandelliana e camilleriana e
all'oliveto di Balanotti, località presso Villacidro, di cui scrive
Dessì. Per quanto l'ambiente delle isole possa indurre a confronti,
che non sono fuori luogo, fra i due autori, ogni parallelo deve porre
nel giusto rilievo che Camilleri va collocato anche in una
letteratura che possiamo definire “di intrattenimento”, ambito
estraneo a Dessì.
Momenti
dell'itinerario di Dessì: Introduzione alla vita di
Giacomo Scarbo.
Le indagini e gli interrogativi posti dal convegno che Marci ha
promosso ed organizzato meritano di essere approfonditi (si veda, fra
l'altro, AA. VV., Lingua, storia, gioco e moralità nel mondo di
Andrea Camilleri, a cura di G. Marci, Cuec, Cagliari, Atti del
seminario del 2004). Ma pensiamo anche al percorso che conduce Dessì
(1909-1977), il Marcel Proust della Sardegna, da Introduzione alla
vita di Giacomo Scarbo (1959,
poi Mondadori, 1973) al romanzo Paese d'ombre che
ricevette il Premio Strega nel 1972.
La
delicata storia di Giacomo - figlio di Massimo, conte di Ordena,
sposatosi in seconde nozze con Alina, per colmare il vuoto lasciato
dalla prima moglie - passa attraverso un grave incidente: mentre in
cortile è intento a giocare con la palla insieme ad un cugino,
Giacomo finisce sotto un pesante carro carico di legna; Alina sente
un boato, la catasta che si schianta, accorre subito e riesce a
tirarlo fuori da sotto il timone: “Con meraviglia sentì quanto
fosse pesante, e anche da questo, inesplicabilmente, trasse la
certezza che non soltanto era vivo ma che si sarebbe salvato e
avrebbe continuato a vivere e sarebbe cresciuto. Nel suo animo si
stabilì questa certezza e la calma che da questa certezza subito si
irradiò era altrettanto inesplicabile e misteriosa …
Nell'adagiarlo sul canapè, in sala da pranzo, gli passò una mano
lungo il dorso … Col fazzoletto gli asciugò ancora il sangue della
ferita alla fronte. Gli sbottonò il giubbetto, i calzoncini, gli
scoprì il ventre, glielo palpò con tutte e due le mani,
delicatamente - il tiepido, morbido ventre di bimbo - e sorrise
chinandosi a baciargli l'ombelico, che era come un occhio socchiuso
furbescamente; gli scoprì il petto magro e ben formato. Lo ricoprì,
lo chiamò per nome a bassa voce. Era … salvo. Lei sola lo sapeva.
Inginocchiata accanto al piccolo corpo inerte aveva la sensazione
della propria felice solitudine”. Insomma, in quel drammatico
frangente, Alina si sente esaltata dall'istinto e dal sentimento di
madre che le fa scoprire con tenerezza la realtà, la vicenda di un
bambino che sente finalmente come suo figlio, un figlio … ancora
vivo!
In
Paese d'ombre
un cambio di prospettiva.
Con questo romanzo Dessì affronta vigorosamente i problemi di una
Sardegna spogliata da meccanismi di stampo coloniale: in primo luogo
la distruzione del manto boschivo cui si accompagna lo sfruttamento
delle miniere. In questo sfondo storico-politico, l'autore inserisce
efficacemente la vicenda personale del protagonista Angelo Uras che
si batte con tutte le sue forze contro ogni forma di speculazione.
Grazie
alla viva sensibilità di cui dispone, con una scrittura davvero
raffinata, Dessì rappresenta, com'è stato autorevolmente osservato,
una Sardegna “europeizzata” (è sufficiente pensare a tutti quei
tecnici, lavoratori e imprenditori di mezza Europa che si muovevano
nelle aree minerarie - e non solo!), allo stesso tempo ampiamente
riconoscibile nel suo profilo naturalistico e culturale. “… a
parte le ragioni storiche e artistiche che richiederebbero un troppo
lungo discorso, come ci insegnano Spinoza, Leibniz, Einstein e
Merleau-Ponty - scrive il nostro autore - ogni punto dell'universo è
il centro dell'universo”. Così egli replicava a quanti, forse
infastiditi, gli chiedevano perché avesse posto al centro della sua
indagine narrativa, ancora una volta, la Sardegna.
Per
cogliere in pieno l'articolata personalità di questo nostro classico
autore, si può rinviare a quanto su di lui hanno scritto Claudio
Varese ma soprattutto Anna Dolfi in La
parola e il tempo. Saggi su Giuseppe Dessì,
pubblicato da Vallecchi. Qui si vuole specialmente sottolineare che,
con Paese d'ombre,
egli risulta pienamente inserito in quella temperie che caratterizza
ed accompagna, dopo la rottura del Sessantotto, la fine di quel
decennio e gli inizi degli anni Settanta. L'opera dessiana è in
grado non solo di recepire il clima di polemiche e denunce politiche
contro quei processi di asservimento coloniale che affliggono la sua
terra, ma anche e soprattutto di interpretarli e di trasfigurarli,
inserendo itinerari umani e personali in una vicenda corale.
La
produzione teatrale: Eleonora
d'Arborea
e lo Stato sardo.
La dimensione storico-sociale e politica - che, certo, non è assente
in Camilleri - accompagna i testi teatrali di Dessì, che egli aveva
definito “racconti drammatici”: il riferimento, in particolare, è
a Qui non c'è guerra e
La giustizia;
ma si pensi anche a La
trincea: il tema del
sacrificio dei sardi nella Prima guerra mondiale è presente, senza
retorica patriottarda, anche nel romanzo Il
disertore (1961),
caratterizzato da tre
personaggi emblematici: Mariangela Eca, chiusa nel dolore per la
perdita di Giovanni, il figlio caduto per la patria italiana, che
rappresenta lo sforzo di integrazione di una parte della società
sarda nello Stato unitario; infine l'altro figlio Saverio, il
disertore, il fuggiasco da una guerra “esterna”, estranea ai
reali interessi dell'isola.
Con
Eleonora d'Arborea, in
quattro atti, pubblicato nel 1964, Dessì ha in mente una Sardegna
che è nazione e vuole diventare Stato, che intende autodeterminarsi
e autogovernarsi con proprie leggi, con una Carta
de Logu. La raccolta
di norme dovuta a Mariano IV, giudice d'Arborea, riformata ed emanata
dalla figlia Eleonora, presenta indubbiamente vari elementi di
raffinatezza giuridica (com'è ampiamente emerso dal dibattito
storiografico) che investono, fra l'altro, il rispetto della donna e
dei minori, la tutela della natura e del paesaggio. Quel modello
rappresentato dalla Carta,
secondo Dessì, va aggiornato, come a suo tempo aveva fatto la stessa
Eleonora, prima dell'atto della promulgazione. Deve essere un modello
non assolutistico, non autoritario, non omologante, ma in grado,
piuttosto, di garantire la convivenza di territori e persone con
interessi e aspirazioni differenti, in un contesto ambientale,
sociale, politico-istituzionale e giuridico caratterizzato il più
possibile da coesione e solidarietà.
Giunto
ad una fase estremamente matura della sua attività di scrittore,
Dessì fa propria un'idea di Sardegna che è influenzata da
conoscenze e letture dei grandi federalisti dell'Ottocento e del
Novecento: Giorgio Asproni (che in due momenti della sua vita
politica pensò seriamente anche alla possibilità di lottare per
l'indipendenza statuale dell'isola), Giovanni Battista Tuveri, ma
soprattutto Camillo Bellieni (che ad Eleonora aveva dedicato un
importante saggio storico) ed Emilio Lussu (si veda al riguardo
quanto scrive il curatore Nicola Tanda nell'introduzione a G. Dessì,
Eleonora d'Arborea,
Edes, Sassari, 1993, pp. 5-25).
Per
accedere, diciamo così, allo “spirito” dei romanzi e dei testi
teatrali, molto importante è stata per me la lunga e fraterna
amicizia con Andrea Dessì Fulgheri, purtroppo scomparso, professore,
studioso di filologia, figlio di Franco, fine poeta, docente e
preside, fratello di Giuseppe; con Andrea siamo stati compagni di
banco fin dalla prima media; abbiamo effettuato, fra l'altro, un
viaggio per l'Europa, fino a Capo Nord; infine siamo stati colleghi
nello stesso consiglio di classe presso il Liceo scientifico
“Giovanni Spano” di Sassari.
Il
giallo e il noir
come tendenza mainstream
strombazzata
dai mass-media.
Camilleri è autore di indubbia levatura, assai originale, fra
l'altro, sul piano linguistico e lessicale.
La sua scrittura affonda
le radici in un patrimonio di grande valore: la poesia in dialetto
milanese di Carlo Porta, studiato da Dante Isella, che ne ha
evidenziato la caratura europea, in condivisibile polemica con quelle
tesi persistenti che qualificano questo ed altri autori come
appartenenti ad una dimensione “”minore”; non va d'altra parte
scordato il precedente costituito dal pastiche
linguistico di Carlo Emilio Gadda, in Quel
pasticciaccio brutto di via Merulana.
Dell'imponente
produzione di Camilleri saggista, sceneggiatore televisivo, autore di
teatro, romanziere e giornalista dotato di una forte, brillante ed
efficace verve satirica e polemica, ci si limita in questa sede a
ricordare solo Il
birraio di Preston
(1995) e La concessione
del telefono (1998).
Dal secondo romanzo lo stesso Camilleri, con Giuseppe Dipasquale, ha
tratto a suo tempo un testo teatrale, allestito dallo Stabile di
Catania con la regia dello stesso Dipasquale - interpretato anche
dall'amico Giampaolo Poddighe, con una lunga carriera di attore
professionista - rappresentato con grande successo di pubblico (ho
avuto modo di vederlo all'Eliseo di Roma).
In
questa sede si vuole rilevare, in particolare, la profonda distanza
fra lo scrittore sardo e quello siciliano, in quanto questi si è
particolarmente impegnato, come si è detto in precedenza, anche
in una letteratura in prevalenza “di intrattenimento” (i romanzi
che hanno come protagonista Montalbano); inoltre l'accostamento fra
Dessì e Camilleri è fuori luogo soprattutto nella misura in cui
quest'ultimo è stato imitato e utilizzato per far prosperare il
racconto giallo e la letteratura noir,
sempre gonfiati dalla grancassa mediatica.
L'intellettuale
indiano Amitav Ghosh, nel suo saggio La
grande cecità. Il cambiamento climatico e l'impensabile (edito
in Italia da Neri Pozza, Vicenza, 2017), ha osservato che gli eventi
meteorologici estremi ed il degrado ambientale costituiscono
tematiche solo raramente e fugacemente presenti nella narrativa.
Quando letteratura e romanzo le affrontano, è facile relegare tutto
ciò nel campo della science-fiction.
Insomma, nell'Ottocento e nel Novecento, dalla grande stagione del
realismo russo al naturalismo di Emile Zola ed al verismo di Luigi
Capuana e Giovanni Verga (senza trascurare quello di Ottone
Bacaredda, in un certo senso anticipatore di questa corrente con
Roccaspinosa,
del 1874, poi riproposto nel 1884 col titolo Casa
Corniola) gli
scrittori di romanzi realisti, naturalisti e veristi furono in grado
di affrontare, chi più, chi meno, scottanti problemi
economico-sociali.
Nei
testi di autori sardi attuali - peraltro validi e tecnicamente
capaci, soprattutto nella costruzione dell'organismo narrativo -
troviamo forse qualche riferimento all'inquinamento delle aree
minerarie dismesse, ai disastri della Sardinian Gold Mining, agli
sversamenti nel Golfo dell'Asinara, all'area della petrolchimica di
Porto Torres, all'uranio impoverito delle basi militari? L'appello
rivolto da stimabili artisti, scrittori ed intellettuali isolani, per
il voto a Massimo Zedda nelle recenti elezioni per il Consiglio
regionale, non ha fatto un solo cenno a queste drammatiche emergenze.
In generale, comunque, le tematiche ambientali non hanno avuto un
particolare rilievo nella campagna elettorale per il 24 febbraio.
Conclusioni.
Quanto scritto da Ghosh dovrebbe invece costituire un monito ed anche
un incitamento affinché non ci sia un passivo adattamento ad una
tendenza mainstream,
come quella del giallo o del noir,
affinché non si verifichi un ritrarsi da una realtà scottante e si
possa invece conferire ampio risalto a problemi non più rinviabili.
A
costàgiu de sa literadura de sos iscritores sardos in italianu,
bisòngiat ammentare sos autores in limba sarda (Paula Alcioni,
Antoni Arca, Antoni Buluggiu, Nanneddu Falconi, Micheli Ladu,
Giuannefrantziscu Pintore, Màriu Puddu e àteros) presentes in sa
collana,“Paberile” de sa domo editora “Condaghes” de
Casteddu, prena de ànimu e de atrivimentu. Ammentamus puru su
romanzu Sa manu de s'umbra
de Bachis Bandinu, publicada dae Domus de janas. Sa rivista
“Camineras”, publicada oe dae Condaghes, aiat dedicadu unu nùmeru
ispetziale, cuntivigiadu dae Arca matessi, a su romanzu e a sa
narrativa in sardu. Pro l'agabbare, podimus imparare meda dae Dessì
pro andare a un'istagione noa de sa literadura in sardu.
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