Un concorso di idee per mantenere viva una memoria critica e autocritica del Castello di Sassari, di Federico Francioni


Una conferenza. Giovedì 27 marzo, nella sede della Costituente per Sassari, in viale Umberto, si è svolto un incontro-dibattito sulla storia del Castello della città. Dopo il saluto di Mariano Brianda, consigliere comunale e animatore della Costituente, hanno preso la parola lo storico dell’arte Alessandro Ponzeletti e l’archeologo Luca Sanna, i quali hanno tenuto relazioni ricche e stimolanti di fronte ad un pubblico folto e quanto mai attento. Il primo relatore ha ripercorso le complesse vicende del maniero, dalla costruzione all’abbattimento; il secondo si è soffermato sugli scavi effettuati nel 2008-2010, sotto la direzione scientifica di Daniela Rovina (funzionaria della Soprintendenza) e da lui stesso coordinati. In particolare, Sanna ha fornito dati ed immagini sul barbacane, struttura difensiva e protettiva del Castello, riemersa durante la campagna di scavo. Da tempo non è visitabile per infiltrazioni d’acqua. Dopo l’intervento di Abbanoa, è auspicabile che si proceda ad una bonifica e ad una riapertura al pubblico del sito che, tramite l’eliminazione di un muro, potrebbe essere collegato ad uno dei rifugi sotterranei antiaerei (cfr. l’articolo di Davide Pinna, Il Castello e il barbacane di Sassari un tesoro dimenticato nel sottosuolo, “La Nuova Sardegna” del 29 marzo 2025).   

Sassari, una città con la tendenza a buttarsi via. Quanto ci hanno fatto sapere Ponzeletti e Sanna può contribuire ad un dibattito e ad una riflessione su una città che in diversi momenti storici ha dimostrato scarsa autostima, come succede nei contesti caratterizzati da una subalternità, anche culturale, retaggio di una dipendenza di stampo coloniale. Si pensi, per fare solo due esempi, all’abbandono del centro storico e, di contro, all’insensata antropizzazione del territorio, perseguita, fra l’altro, con le colate di cemento a Predda Niedda. Ma si sa, la centralità e la preponderanza dell’edilizia, in assenza di uno sviluppo economico autocentrato, è una maledizione del sottosviluppo, funzionale allo sviluppo della metropoli esterna di volta in volta dominante, conseguenza di secoli di colonialismo; non occorre necessariamente fare proprie le categorie dei marxisti latinoamericani per accertarlo e sostenerlo. Si pensi inoltre alla Sardegna come “laboratorio di storia coloniale”, interno all’Europa, definizione che si deve allo storico franco-americano John Day, grande e sincero amico della nostra isola.

In tale contesto va individuata e focalizzata una precisa scala di responsabilità, a partire dai ceti dirigenti cittadini – fatte, s’intende, le debite eccezioni per alcune singole personalità e gruppi e per le loro scelte controcorrente – che hanno contribuito a creare e a perpetuare una cultura della terachia, indifferente ai beni e alle risorse collettive.

Come si arrivò all’abbattimento del Castello. Il caso della demolizione del Castello è esemplare: basta ripercorrere, sulle tracce di quanto hanno detto egregiamente Ponzeletti e Sanna, alcune tappe che condussero a quella scellerata opzione. Nel 1842 alcuni esponenti della borghesia commerciale sassarese – Bargone, Rau e Valdettaro – chiesero al Comune che fosse abbattuta una delle cinque torri del Castello, che incombeva sulle loro case (lo riporta Enrico Costa nella sua insostituibile opera su Sassari); ma l’Amministrazione rispose con un netto rifiuto. Nel 1869 però questo atteggiamento fu capovolto: ebbero infatti la meglio i settori del commercio e dell’edilizia, ma erano in campo anche le gerarchie militari che premevano per la costruzione della caserma, intitolata poi ad Alberto Ferrero Della Marmora.

Per approdare a siffatta decisione furono sufficienti, oltre agli interessi tipici di una borghesia del sottosviluppo, lo stato di degrado del Castello, il giudizio negativo sui secoli delle dominazioni catalano-aragonese e spagnola, nonché   quello sull’Inquisizione che ebbe sede nello stesso edificio dal 1563 al 1717 (cfr. F. Francioni, La caduta dell’inquisitore. Momenti, problemi e figure di storia dell’Inquisizione spagnola in Sardegna dal Cinquecento ai primi del Settecento, Edizioni della Fondazione Sardinia, Cagliari, 2022, pp. 47-56).    

Non si manifestarono opposizioni significative e consistenti: a parte il prima ricordato voltagabbana del Comune, lo stesso Costa, storico e poligrafo, cui certo non difettava l’amore per la sua città, ebbe un atteggiamento ondivago. Da una parte, egli scrive che il Castello serviva ai governanti catalano-aragonesi ed ai loro successori non tanto contro nemici esterni, quanto per mantenere sotto stretto controllo la cittadinanza sassarese: da questo punto di vista, egli aggiunge, è “un bene che lo abbiamo atterrato” (Sassari, vol. I, p. 127); d’altra parte, egli qualifica la delibera assunta dal Comune come “insensato progetto” (cfr. Sassari, vol. II, p. 821). Costa, ma non è stato il solo, si dimostra comunque incapace di distinguere fra il valore storico, artistico e architettonico di un manufatto e l’uso cui è stato adibito. In mancanza di questa distinzione, tanti monumenti dell’antichità dovrebbero essere cancellati.

Su “La Stella di Sardegna” – il vivace settimanale che Costa diresse e pubblicò dal 1877 al 1886 – non apparvero articoli contrari all’abbattimento della fortezza, come risulta da un articolo di Salvator Angelo De Castro e da un altro firmato con lo pseudonimo di Teodolite (entrambi gli scritti sono del marzo del 1877).

Dal suo canto Giovanni Spano, eminente archeologo, storico, rettore dell’Università di Cagliari, senatore del Regno, si limitò a chiedere che venissero salvati dalla distruzione i cinque stemmi che decoravano la torre centrale del Castello e quella del campanone. Dunque non solo il ceto borghese, ma anche esponenti dell’intellettualità cittadina dimostrarono di non avere consapevolezza alcuna dello scempio che si andava consumando. Fra i pochi oppositori va ricordato Giovanni Antonio Sanna, imprenditore e collezionista di opere d’arte, che riuscì ad inserirsi nel ristretto novero dei capitalisti europei impegnati nello sfruttamento delle miniere isolane. Egli, fra l’altro, commissionò al pittore Giuseppe Solinas un acquerello raffigurante la fortezza (è stato pubblicato nella copertina del volume di Paolo Fadda, L’uomo di Montevecchio. La vita pubblica e privata di Giovanni Antonio Sanna il più importante industriale minerario dell’Ottocento, edito nel 2010).

Ieri l’abbattimento del Castello, di recente il disegno di distruggere le valli con i loro ecosistemi. Dopo la distruzione del Castello, realizzata dal 1877 al 1880 – anche con il ricorso alla dinamite, inventata da Alfred Nobel nel 1867 – il ceto dirigente sassarese ha fornito un’altra prova di assoluta mancanza di cura per i beni e le risorse della nostra comunità: ci riferiamo all’atroce progetto della Giunta guidata da Nanni Campus per desertificare il Fosso della noce e per sostituirlo con un canalone di cemento, lungo circa 900 metri, largo più di 7, adducendo la giustificazione di un rischio idrogeologico, peraltro sopravvalutato; un obiettivo bloccato dai Comitati di quartiere e da una vittoriosa mobilitazione popolare (si veda il documentato resoconto di Nello Bruno su “Camineras”, n. 9, 2024, pp. 39-48).

       Un particolare del barbacane del Castello, rinvenuto con gli scavi del 2008 - 2010

Un concorso di idee. Bisognerebbe bandire un concorso di idee – aperto soprattutto ad artisti, architetti, urbanisti (ma non solo) – per valorizzare ulteriormente il barbacane e la memoria del Castello. Qui ci limitiamo a formulare alcune proposte: la possibilità di collocare nella piazza un grande schermo, vicino al barbacane, che proietti dei video sull’edificio e la vita che scorreva al suo interno. Con i supporti informatici e digitali si potrebbe ideare qualcosa di davvero attraente. Ai lati della piazza si potrebbero sistemare pannelli con riproduzioni di stampe, immagini, foto e una sintesi di storia dell’edificio. L’importante è tenere viva una memoria critica e autocritica onde evitare altri danni irreparabili al patrimonio naturalistico, archeologico, storico, artistico e urbanistico della nostra città.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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