“A dies de oe”, Giuseppe Corongiu racconta la lingua sarda.




“A dies de oe – Annotos pro una limba sarda tzìvica e cuntemporanea” (Condaghes, pag 190 , euro 18)  è il nuovo libro di Giuseppe Corongiu in uscita in libreria. L’autore, dopo l’esperienza letteraria (positiva sia per la critica che per il mercato) della raccolta di racconti politico-distopico-erotici di “Metropolitània” (2019) torna al genere che più ha frequentato in questi anni, il saggio tecnico – politico sulla questione linguistica. Si tratta di un excursus estremamente accurato sul difficile cammino della lingua sarda per addivenire finalmente a essere una bandiera civica della Sardegna contemporanea, in sostanza una lingua comunitaria rappresentativa per tutti. Ma nonostante il pensiero sociale dell’autore sia chiaro, e peraltro esplicitato in altre opere nel corso degli anni, il volume non si perde più di tanto in declamazioni nazionalitarie o indipendentiste, ma affronta tutte le questioni tecnico-linguistiche aperte fino a scendere persino nel dettaglio più scrupoloso.   

Nell’opera Corongiu non si sofferma sulle giustificazioni storiche e politiche del bilinguismo, che dà per scontate, ma piuttosto compie uno sforzo tra il teorico e il didattico per condividere, in particolare con gli esperti ed operatori culturali o gli appassionati, la via per dare al sardo una dignità che ancora non ha nei vari campi della scrittura contemporanea. Nessuna lezione cattedratica o astratta: parla l’esperienza di 20 anni di militanza attiva nel campo del biinguismo con fatti e non solo parole. Dalla lingua giuridica, a quella politica, al giornalismo, alla letteratura, alla tecnologia, alla ricerca scientifica. Ogni singolo linguaggio settoriale, che compone il puzzle della lingua generale, viene analizzato minuziosamente (e vengono offerte le soluzioni per imparare a scriverlo correttamente con successo) nell’ambito di un continuum che per l’autore risale alle stesse radici del sardo come lingua comunitaria di tutto un popolo.  

Coròngiu cita Simon Mossa, Emilio Lussu e Giovanni Lilliu, tra i tanti, come gli iniziatori più coscienti del movimento linguistico e rimarca come, nonostante le leggi approvate e i tanti soldi spesi, non si sia arrivati ancora a un livello soddisfacente di bilinguismo. Il senso comune della popolazione è ancora ostile alle forme ufficiali di lingua, mentre una sorta di deviazionismo antropologico (da Michelangelo Pira ed epigoni in poi) si è infiltrato tra le linee dei sostenitori e ha riportato la questione al campo stereotipico dal quale si voleva sfuggire: cioè il ruralismo, l’antiquariato, il folk, la divisione in tante varianti, il campanilismo, la rivendicazione solo formale di una lingua e l’uso invece costante dell’italiano. Insomma, quanto di più lontano da una lingua realmente rappresentaiva.

La politica è quasi immobile, terrorizzata dalle feroci polemiche che sempre vengono innalzate dai contrari al processo di normalizzazione unitaria del sardo con le più varie argomentazioni tra cui, quella più gettonata, sembra quella che ogni sardo sia straniero all’altro sardo. E’ costante la presenza del “fuoco amico”, cioè esponenti che si dichiarano in favore a parole, ma poi smentiscono se stessi con pratiche negative di dialetizzazione, balcanizzazione e folklorizazzione de sa limba sarda. 

Anche l’ultima legge approvata dal Consiglio Regionale nell’estate del 2018, la numero 22, non ha sciolto i nodi più importanti. L’autore peraltro lo aveva anticipato, opponendosi donchisciottescamente  alla sua approvazione. Non si è riusciti però a scalfire l’indifferenza del ceto dominante in Sardegna.  La politica linguistica procede sonnolenta con molti titoli annuncio sui giornali e poca concretezza, dove i due fronti, i normalizzatori e i prosecutori della tradizione, si scontrano e si incontrano sopravvanzandosi a vicenda, mentre l’italiano, anche se con registri bassi e quasi creoli, ha abbracciato l’intera popolazione e siamo a un passo dalla assimilazione

Corongiu scommette però sulla perseveranza. Bisogna insistere, dice nella breve prefazione, bisogna non smettere di sognare anche se, oggi, confessa, l’affermazione del sardo in Sardegna quale lingua normale di identità sembra fantascienza. L’opera prova a uscire da questo impasse affrontando questioni concrete e puntando sulla creazione e diffusione di testi in ogni campo: la competenza al posto della polemica spicciola. I fatti contro le parole.  La risoluzione dei problemi invece delle infinite disquizioni di quei presunti esperti che parlano sempre del sardo, anche dettando la linea, ma senza credere veramente al progetto di lingua nazionale o civica di Simon, Lussu e Lilliu.  

L’autore prende per mano i lettori e li porta a fare un viaggio (in parte inedito, in parte rivisitato da altre sue pubblicazioni)  in una lingua che affronta con le sue forze (ma anche con gli apporti dei cultismi internazionali) dentro le tecnicalità del settore istituzionale, giuridico, amministrativo, scientifico, giornalistico, anche con il linguaggio dei nuovi media e social che, con la loro comunicazione informale, hanno rilancianto una lingua ancora non del tutto ingessata. Forse proprio le pagine che descrivono i possibili percorsi della scrittura in campo social, mediatico, giornalistico e letterario moderno sono le migliori. Del resto l’autore si èmolto impegnato in questi campi anche di recente. 

Non ci sono conclusioni scontate. “A dies de oe” è una guida, forse un manuale politico, ma soprattutto un cantiere aperto nel quale Corongiu chiama gli altri a collaborare, a proseguire il suo lavoro, a perseverare. Perché, scrive, da solo nessuno fa nulla. C’è bisogno di una collettività che riprenda per mano la sua lingua e la faccia crescere al passo con  i tempi. Altrimenti, certo, i sardi esisteranno sempre anche esprimendosi in altre lingue, ma non saranno mai gli stessi. Potrebbero non riconoscersi più nello specchio della contemporaneità se non rincorrendo all’alterità tardo coloniale di turno. Oggi italiana, ieri spagnola e catalana, domani chissà. Con frutti non certo gradevoli. 

 



 Biografia dell’autore

Giuseppe “Pepe” Coròngiu  è un esponente del movimento linguistico sardo, attivo da decenni nelle battaglie per l’ufficializzazione della lingua. E’ nato a Laconi (1965), ma vive da parecchi anni a Cagliari. E’ giornalista, scrittore, traduttore, dirigente della pubblica amministrazione, organizzatore di eventi culturali. Oltre a essere stato il responsabile delle politiche linguistiche regionali della RAS (2006-2014) ha lavorato molto nel settore dei media innovativi bilingui (Premio Funtana Elighe 2008) e si è dedicato per anni allo studio del linguaggio istituzionale applicato alle lingue minoritarie. Si è speso molto sulla necessità di una limba civica unitaria per i sardi e sull’argomento ha pubblicato, tra gli altri, “Una limba pro guvernare” (2004), “Pro una limba ufitziale” (2006), “Una limba comuna cun milli limbàgios” (2009), “Il sardo una lingua normale” (2013). Ha pubblicato, in collaborazione con altri  autori, delle linee grammaticali del sardo, un dizionario sperimentale della lingua ufficiale, le traduzioni della Carta costituzionale, dello  Statuto Speciale e di svariate leggi di settore, compreso il Codice Penitenziario per intero. Ha riscritto  Lawrence e tradotto Gramsci. Di recente si è impegnato anche nella narrativa con la raccolta di racconti “Metropolitània” (2019) che h aavuto un buon riscontro di critica e di pubblico. Un esordio riscontrato sia dalla critica che dal mercato. Ha già annunciato l’uscita del suo primo romanzo. 

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