ANTONIO TROIANI: LA DRAMMATICA STORIA DI UN “ANTIFASCISTA APOLITICO” di Tore Sanna

 


 

Antonio Troiani: foto segnaletica del 9 Settembre 1937, il primo giorno del confino a Ustica.

 

Per i nati nel secondo dopoguerra, avvicinatisi alla politica in età giovanile, parlare di Ustica, Ponza, Ventotene e altri luoghi in cui venivano confinati gli avversari del fascismo, significava parlare in particolare di leader politici che poi hanno fatto la storia della nostra Repubblica e della nostra democrazia, ma anche di militanti e appassionati che nelle loro città e nei loro paesi erano considerati avversari del regime e hanno ugualmente contribuito a far crescere questo paese.

Sassari è la città dove Antonio Troiani ha sempre vissuto. Nel dopoguerra nessuno sapeva    del suo passato di antifascista, confinato a Ponza, Ustica e Ventotene. Nessuno lo aveva mai sentito parlare di politica prima, durante e dopo il fascismo e meno che mai lo aveva visto partecipare a manifestazioni per il 25 Aprile o alle feste dell’Unità; di lui si sapeva principalmente che era dedito all’alcool. Eppure i documenti dell’Archivio Centrale dello Stato dimostrano che la commissione prefettizia lo aveva condannato a 5 anni di confino, il massimo della pena prevista dalle norme fasciste: era stato classificato “ufficialmente” come antifascista apolitico. Una contraddizione in termini e ancor più nella sostanza, come si può leggere in uno dei 97 documenti presenti nel suo fascicolo, tra quelli inviati dalla Prefettura di Sassari alla direzione dei confinati politici di Ustica, in concomitanza alla sua partenza da Sassari per scontare la pena inflitta.

Antonio Gavino Troiani, che di mestiere aveva fatto il panettiere, era nato a Sassari in via Insinuazione al civico 9, il 23 Ottobre 1904, come dimostra la nota allegata alle schede trasmesse dalla Prefettura di Sassari alla direzione della colonia confinati di Ustica.



Scheda della prefettura di Sassari che accompagna il trasferimento a Ustica di Troiani

 

Chi era Antonio Troiani?

Antonio Giuseppe Troiani nasce a Sassari, da Giuseppe e Pasqualina Tedde. in via dell’Insinuazione n. 9 (dai dati dell’atto integrale di nascita).

Suo padre Giuseppe era nato in un centro abitato dello Stato Pontificio, in fuga da questo Stato negli anni ‘50 dell’800, quando la Sardegna faceva parte del Regno Sardo-Piemontese, probabilmente per sfuggire alla polizia di Pio IX. Parecchi fuggitivi dal Lazio, prima della unificazione dell’Italia, arrivarono in Sardegna e andarono a risiedere in diversi centri, grandi e piccoli dell’isola, Sassari compresa. Questi fuggitivi erano agevolati e forse incentivati anche dalla politica del Regno stesso, non a caso il padre di Antonio Troiani, in una delle strade più centrali della città, era il titolare di un negozio di Sali e Tabacchi, già allora monopolio di Stato.

La lettura della scheda di polizia, relativa alle "Notizie dei Reati e dei Comportamenti", che  riguardano Antonio Troiani, prima che il fascismo prendesse il potere e fino al 27 Agosto 1937, inquadra un giorno decisivo: "Verso la mezzanotte, viene sorpreso dall'agente di PS Ruggiu innanzi al Caffè Sechi nella via Luzzatti, in stato di ubriachezza, cantando a squarciagola l'Internazionale e manifestando frasi oltraggiose contro il Duce e contro il fascismo; tra le frasi  che urlava c’era anche: ‘Del Duce me ne frego, abbasso il fascismo, evviva il Socialismo, evviva la Russia’ ". Ciò fa pensare che Troiani fosse, fin da ragazzo, particolarmente ribelle, ma si tenga presente soprattutto che allora, dopo 5 condanne per reati che prevedevano pochi giorni o mesi di detenzione, si era considerati delinquenti abituali, un fardello che ci si portava dietro fino alla morte.

L’esistenza di Antonio Troiani non fu di sicuro facile: da ragazzino non ancora quindicenne, nel Luglio del 1919, viene proposto per il ricovero in un istituto di rieducazione, proposta respinta dalla magistratura perché il minore aveva superato i 12 anni. In quella occasione le note della polizia lo classificano così: "Vissuto in ambiente malsano, dimostrando scarse attitudini lavorative e tendenza all'ozio e al vagabondaggio. In famiglia, nella scuola e sul lavoro ha sempre tenuto cattiva condotta".

Credo sia bene precisare che in Italia erano anni in cui l’analfabetismo era molto elevato; gran parte dei ragazzini andavano a lavorare e solo raramente e contestualmente frequentavano le scuole elementari.

La figura di Troiani è quella di un ragazzo ribelle sia alla situazione socio-economica esistente, sia alla sua stessa famiglia, mai per davvero presente durante la sua infelice esistenza, come pure non è stata mai presente una donna durante tutta la sua vita.

La scheda di polizia, fino al momento della sua denuncia da parte del federale, mette inoltre in evidenza la vita di un giovane a cui Sassari e la Sardegna stavano strette; da qui le continue fughe dalla sua città e dalla Sardegna per la penisola, nonostante i continui e forzati rimpatri d'autorità esercitati della Pubblica Sicurezza. Ciò si deduce dal fatto che, dal 1923 fino a pochi gironi prima del 27 Agosto 1937, Troiani subì ben 19 condanne per un totale medio di 4,2 anni di reclusione: in ben 14 anni tutte le carcerazioni furono di breve e brevissima durata, la gran parte trascorse nella penisola. Nessuna condanna gli è mai stata ascritta per reati di violenza contro le persone o per reati contro il patrimonio, come furti o similari; una sola volta fu trovato dalla PS con un coltello in tasca.

Il gran numero dei processi subiti, dei rimpatri e delle condanne, fu per truffa nei riguardi delle Ferrovie dello Stato poiché veniva di sovente trovato a viaggiare senza biglietto, cosa accaduta anche per i viaggi sulla Porto Torres-Genova. Inoltre venne processato per non aver ottemperato al foglio di via obbligatorio.

Alla quinta condanna, subita il 9 giugno del 1924, viene dichiarato delinquente abituale dal pretore di Roma. Egli aveva già interamente scontato in carcere le condanne subite in precedenza.

                      

IL CONFINO

I documenti relativi al periodo di confinato tra Ustica, Ponza e Ventotene tratteggiano una vita improba, trascorsa tra privazioni di ogni tipo, senza alcun aiuto da parte della famiglia, con punizioni e coabitazione in camere in cui venivano ospitati i confinati non politici. Denunce e condanne spesso riguardavano il mancato rispetto dei severi regolamenti disciplinari, compreso l’evitare di ubriacarsi, cosa che per lui era difficile da osservare perché aveva comunque quei pochi soldi che l’amministrazione dello Stato fascista gli passava. A questo si aggiungeva spesso l’aggravante per oltraggio a pubblico ufficiale, il reato più diffuso in Italia durante il ventennio fascista.

I periodi trascorsi in carcere per qualsiasi motivo sospendevano il periodo da trascorrere al confino, per cui i tempi da confinato si allungavano a dismisura.

In base a questa norma, il Ministero comunicava alle Prefetture interessate che per Troiani la data di scadenza del confino, prevista originariamente per il 28 Agosto del 1942, era stata spostata fino al 2 giugno del 1944, come evidenziato nel documento seguente. A questo c’è da aggiungere il clima spionistico a cui i confinati erano sottoposti, nonostante diversi fossero classificati come antifascisti apolitici, cioè non appartenenti ad alcun partito. Come si verificava nel caso di Troiani, erano persone viste con particolare sospetto e diffidenza perché ritenute più furbe di quelli dichiaratamente appartenenti a formazioni politiche antifasciste, quindi maggiormente pericolose “per la patria e per il regime”, ragion per cui erano sottoposti a speciale osservazione e a spiate accompagnate da “premi e sconti” per coloro che si prestavano a fare qualche delazione.

 


Nota inviata alla Prefettura con cui il Ministero comunica che Troiani a causa delle condanne finirà il confino

 il 2.6.44, invece del 26.8.42.


In tale contesto è significativo il documento sotto riportato, dove due suoi compagni di camerata accusano Troiani di auspicare la sconfitta degli eserciti dell’Asse e “di averlo sentito canticchiare a bassa voce l’Internazionale comunista”. “Per evitare disordini e proteggere l’incolumità dei denuncianti” la prefettura di Palermo, da cui la colonia penale di Ustica dipendeva, chiese al Ministero l’autorizzazione al trasferimento di Troiani in altra colonia penale.


Comunicato con cui la Prefettura di Palermo comunica al Ministero la spiata contro Troiani



Comunicato della Prefettura di Palermo al Ministero, in cui si chiede il trasferimento di Troiani.

 

Nel leggere la documentazione sulla vita trascorsa fin dai primi giorni al confino, viene fuori il profilo di un uomo particolarmente estenuato sia per i continui ed ossessionanti controlli sia per le numerose denunce e condanne subite. Tanto che il 4 ottobre del 1938, assalito dallo sconforto, invia una lettera al Ministero dell’Interno, scritta a mano di proprio pugno (la grafia è uguale a quella con cui ha firmato alcuni documenti) in cui chiede di essere trasferito come confinato in qualche “località di terraferma del regno”, specificando che lui non ha mai professato alcuna ideologia politica e niente aveva da dire o rimproverare al regime fascista. Il suo esser stato confinato “è da attribuirsi a qualche bicchiere in più di vino bevuto quella sera del 27 Agosto del 1937”. 

Il Ministero chiede un parere alla Prefettura di Palermo che respinge la richiesta per il pessimo comportamento “civile e politico” tenuto da Troiani, il quale “ha interrotto 3 volte il periodo del confino” poiché condannato in totale per 18 mesi carcere, di cui 3 per grave “propaganda disfattista”.

 


Lettera con la quale Troiani, dopo 1 anno di confino, chiede al Ministero d’essere trasferito per scontare il suo periodo di confinato in una colonia nella terraferma del Regno.

 Questo calvario di Antonio Troiani si concluse dopo l’8 Settembre del ‘43.

 

GLI ANNI DEL DOPOGUERRA

Nella Sassari del dopoguerra, Troiani era un emarginato, alcolizzato, ferito nell’anima dalle tante angherie subite fin dai tempi della sua infanzia. Al rientro dal confino, egli sbarcò per poco tempo il lunario facendo lo strillone, vendendo giornali per le strade di Sassari, ma l’alcool continuò ad impossessarsi di lui. Dopo pochi anni abbandonò il mestiere povero ma dignitoso di strillone, preferendo una vita da emarginato, guadagnando qualche moneta cantando per le piazze, accompagnandosi col suono provocato dal vibrare dei denti di un pettine e dal rumore prodotto con le mani sotto le ascelle.

Frequentava spesso la vineria di Felicino Sannia in via Lamarmora, all’angolo con via San Sisto, era una persona estremamente gentile ed educata, mai una parola volgare con alcuno, viveva in un mondo tutto suo. Non risulta che nella sua vita abbia mai avuto una donna al suo fianco, forse non tentò nemmeno di corteggiarne una. Il buon Sannia, un omone alto e grosso e con una grande forza, vedendolo di notte alticcio, lo portava fuori dal locale, una prassi che applicava a tutti gli avventori che avevano alzato troppo il gomito. In questi casi Troiani, fuori dalla bettola, iniziava a cantare insistentemente stornelli romani, incurante, d’inverno e d’estate, dei numerosi gavettoni che gli piovevano dai piani alti degli edifici della zona, abitati da contadini e lavoratori che in genere al mattino andavano molto presto al lavoro. 

In città nessuno era a conoscenza di questo suo passato di “antifascista”; la sua parlata romanesca era dovuta al fatto che suo padre era arrivato a Sassari dal Lazio; Antonio Troiani, che circolava sempre con un capellino piuttosto sporco da marinaio sempre in testa, era riuscito a far credere che fosse un ex sottufficiale della Marina militare; raccontava spesso storie inventate di vita vissuta in battaglie di mare durante la guerra e di giorni drammatici trascorsi in sottomarini a grande profondità. In realtà non fece neppure la visita di leva nel 1924 poiché era detenuto a Pisa per scontare una condanna a 30 giorni di carcere: viaggiava su un treno senza biglietto; non fu convocato per la leva militare nemmeno in tempi successivi.  Uscito dal carcere non commise più alcun reato fino alla notte del 27 Agosto del 1937, quando venne colto in flagranza di reato a cantare l’Internazionale.

Per il suo abituale modo di fare educato e gentile, in città, negli anni ‘50 e ‘60 succedeva che alcuni commercianti lo utilizzassero per piccole commissioni, in genere quelle in cui era necessario fare la fila, per esempio alle poste, oppure il pagamento annuale del bollo auto che allora si pagava esclusivamente presso l’ufficio dell’ACI; egli in cambio riceveva qualche soldo e un pasto, senza fare mai una cresta su eventuali resti delle somme ricevute.

Un ricordo particolarmente simpatico, accaduto nei primissimi anni ‘50, su Troiani mi fu raccontato da mio cognato, allora ragioniere del sevizio commerciale della compagnia telefonica cittadina, allora TETI (oggi Telecom), dove era stato assunto da pochi mesi.

Allora tutti i servizi tecnici, amministrativi e quant’altro erano nel grande palazzo all’ angolo tra le vie Brigata Sassari e Cavour, con due ingressi separati, in particolare nella via Brigata Sassari c’era la direzione e tutti i servizi amministrativi, mentre in via Cavour vi era l’ingresso del personale tecnico ed operaio per la centrale e poi quello per le tante donne telefoniste addette al servizio delle interurbane.

Succedeva che il buon Troiani, alticcio o meno, di notte, con le sue poche cose andava a dormire nell’androne dell’ingresso della direzione e la mattina, in genere molto presto, le raccoglieva ed andava via: i pochi impiegati e lo stesso direttore di allora lo tolleravano perché non dava fastidio a nessuno, visto che, fra l’altro, in città e nella provincia erano ancora pochi i telefoni installati.

Le cose cambiarono decisamente quando subentrò un nuovo direttore che arrivava dalla penisola, un uomo tutto d’un pezzo che fin dal primo giorno non aveva tollerato quella presenza, nonostante ci fosse stata qualche parola in difesa di Troiani da parte di qualche impiegato anziano.

Convocata con urgenza una riunione, il direttore disse di aver messo a disposizione per il signor Troiani la cifra di 1.000 lire purché abbandonasse quel portone per sempre. Il gravoso incarico fu dato al più` giovane degli impiegati, assunto appena pochi mesi prima (mio cognato che, come dicevo prima, mi ha raccontato questa vicenda). Contrariamente ai timori dei più, il colloquio fu cordiale, lo stesso Troiani disse che si rendeva conto che, trovandosi a passare la notte in un ufficio pubblico, prima o poi una cosa simile sarebbe successa; raccolte con rassegnazione le sue cose, divenne sorridente e allegro non appena gli vennero consegnate le 1.000 lire, per lui quasi un patrimonio.

Passarono poche settimane ed una mattina piomba nell'ufficio del direttore la capo telefonista arrabbiatissima, Troiani aveva trovato rifugio notturno, dopo “lo sfratto” dal portone della direzione, nell’altro portone del palazzo della stessa TETI: uno spettacolo non bello per le tante donne che vi lavoravano, con l’ingresso del primo turno alle 6 del mattino, per di più una mattina avevano trovato l’androne pieno di vomito; ciò aveva provocato la reazione di tutte le telefoniste del primo turno. Infuriato, il direttore in persona affronta Troiani e senza tante gentilezze gli ordina d’andare via, altrimenti avrebbe chiamato la polizia. Quando stava per allontanarsi, Troiani si girò verso il direttore e in romanesco disse: “E oggi li sordi non me li date?”.

Morì il 16 marzo 1962 nel vecchio ospedale civile di Sassari, in Piazza Fiume, dove era ricoverato da diverso tempo. Era talmente conosciuto e, se vogliamo, in fondo, benvoluto, che “La Nuova Sardegna”, in cronaca, gli dedicò il trafiletto riportato di seguito.

 


Trafiletto in cronaca di Sassari del 17 marzo 1962 con cui “La Nuova Sardegna” ricorda Antonio Troiani.

 

 

 


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