Riflessioni e proposta di una nuova legge elettorale regionale di Paolo Mugoni



Proposta scritta nel febbraio del 2022 in vista degli incontri sulla riforma della legge elettorale  promossi dai Rossomori. Pur scritta due anni fa credo rimanga utile la sua lettura per capire alcune delle motivazioni della situazione attuale.


Che la legge elettorale per l’elezione del Presidente e del Consiglio regionale della RAS sia antidemocratica è ormai un fatto assodato, la rappresentanza non è garantita se ad una quota significativa dell’elettorato è precluso per legge l’accesso al Consiglio regionale. Le soglie di sbarramento del 5% per singola lista che non si presenta in coalizione a sostegno di un candidato Presidente e del 10% per le liste riunite in coalizione a sostegno del candidato Presidente, di fatto rappresentano un vulnus democratico, annichiliscono le minoranze nella società  e distorcono, con un premio di maggioranza spropositato, la rappresentanza in Consiglio regionale. Di fatto il sistema elettorale tende a precostituire in Sardegna, sulla falsariga della situazione statale italiana, due blocchi contrapposti, centro destra e centro sinistra, con la rara eccezione di altri soggetti che, attraverso una consistente forza elettorale, riescono a rompere questo schema di “bipolarismo imperfetto”, direbbe il politologo Giovanni Sartori. Il caso del Movimento 5S nella legislatura attuale è da manuale. Come da manuale è il mancato ingresso di Sardegna Possibile con a candidata Presidente Michela Murgia che in virtù dello sbarramento del 10% non ha ottenuto nessun seggio nonostante i circa 70.000 voti presi. Se volessimo ricostruire la genesi del sistema elettorale regionale sardo dovremmo andare a ritroso di qualche decina d’anni. Intanto andando per ordine vediamo i provvedimenti che hanno preceduto la legge elettorale in vigore e che ne hanno costituito le basi e l’ideologia:

 

È con la legge costituzionale n. 1 del 1999 che si introduce nelle regioni ordinarie italiane con la modifica dell’art 122 , l’elezione diretta del presidente della giunta regionale. Così come era già avvenuto per i comuni si passa da una forma di governo “parlamentare” ad una presidenziale. La degenerazione del sistema politico italiano e la sua eccessiva frammentazione, e le regioni non sono indenni, diventa la giustificazione per una riforma che cambia totalmente il profilo democratico delle istituzioni regionali. Si passa da una rappresentanza che sino ad allora veniva incarnata e mediata dai partiti, ad una rappresentanza concentrata sul presidente che diventa il dominus dell’intero consiglio regionale anche attraverso la clausola simul stabunt, simul cadentPer le regioni s statuto speciale si interviene attraverso la Legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 che estende l’elezione diretta del presidente. Le Regioni, con la sola eccezione della Valle D’Aosta ed il caso anomalo della regione Trentino Alto Adige (diventa a turno Presidente della Regione uno dei Presidenti delle due Provincie autonome) , accettano supinamente il sistema dell’elezione diretta del presidente della giunta regionale. D’altronde il mood politico è diventato totalmente indirizzato verso questa forma diretta di rappresentanza tanto che nella vulgata popolare si è  trasformato  il Presidente della Giunta in Governatore sulla falsariga dei governatori americani. L’art 122, dispone che   “Il   Presidente  della  Giunta  regionale,  salvo  che  lo  statuto regionale  disponga  diversamente, e' eletto a suffragio universale e diretto.  Il  Presidente  eletto  nomina  e revoca i componenti della Giunta”. Quindi si demanda alle regioni la potestà di cambiare le disposizioni contenute all’interno della Costituzione attraverso la modifica degli statuti regionali. La Regione Sardegna di riforme dello statuto ne ha fatte  alcune, compresa quella dell’articolo 15, ma su questo versante non ha cambiato il sistema.L’introduzione dell’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale in Sardegna, come in egual misura altrove, cambia anche lo scenario politico con l’ingresso in politica di Renato Soru, primo a capire le opportunità di questa modifica, imprenditore e fondatore pochi mesi prima del partito personale Progetto Sardegna. Chi avesse seguito quegli avvenimenti ricorderà il panico (panico che rientrò dopo un paio di mesi di serrate trattative tra Soru e la nomenclatura del Centrosinistra) che si diffuse nelle segreterie dei partiti che furono totalmente scavalcate e in parte delegittimate. Plasticamente si ebbe questa sensazione nel primo intervento di Soru al cinema Smeraldo di Sassari che seguimmo insieme ad altri redattori della rivista Camineras. I dirigenti dei partiti del centrosinistra erano assenti. Al secondo intervento magicamente erano tutti presenti e si sprecarono le pacche sulle spalle tra i dirigenti del centrosinistra e Soru e i suoi collaboratori.  Peraltro l’allora legge elettorale prevedeva, dando ancora più potere al candidato presidente, che il premio di maggioranza consistesse nel cosiddetto  “listino” una lista che prevedeva l’ingresso in Consiglio regionale senza essere sottoposti al voto in quanto scelti dal Presidente vincente. Soru tenterà anche di normare, nel 2007, attraverso una legge statutaria il nuovo modello di regione che scaturisce dalla elezione diretta del presidente, definendone e rafforzandone i poteri, ma il referendum confermativo venne ritenuto “invalido” da parte della Corte d’appello  di Cagliari in quanto non raggiunse il quorum previsto. Sarà la Consulta infine a mettere la pietra tombale sulla legge statutaria   e ad annullare la promulgazione fatta forzatamente il 10 luglio 2008 dal Presidente Soru .

Nel 2013, durante il mandato di Ugo Cappellacci, si approva (approvazione bipartisan mi pare di ricordare) la legge Statutaria elettorale n.1 che introdurrà alcune novità ed è, con alcune modifiche apportate successivamente, il modello di sistema elettorale attualmente vigente. Queste sono le caratteristiche salienti ed i punti critici del sistema elettorale disegnato dalla legge 1/2013:

·               Abolizione del listino collegato al Presidente che di fatto costituiva il premio di maggioranza;

·               Introduzione, nel comma 2 dell’articolo 13 del premio di maggioranza del “60 per cento dei seggi del Consiglio regionale se il presidente proclamato eletto ha ottenuto una percentuale di voti superiore al 40 per cento o del  55 per cento dei seggi del Consiglio regionale se il presidente proclamato eletto ha ottenuto una percentuale di voti compresa tra il 25 ed il 40 per cento”;

·               Soglia di sbarramento all’articolo 1 comma 7 che afferma: “Sono esclusi dall'attribuzione dei seggi: 
a) i gruppi di liste che fanno parte di una coalizione che ottiene meno del 10 per cento del totale dei voti validi ottenuti da tutti i gruppi di liste a livello regionale; 
b) i gruppi di liste non coalizzati che ottengono meno del 5 per cento del totale dei voti ottenuti da tutti i gruppi di liste a livello regionale”;

·               Introduzione del voto disgiunto “ L’elettore esprime il suo voto per una delle liste circoscrizionali tracciando un segno nel relativo rettangolo, e può esprimere un voto di preferenza scrivendo il cognome, ovvero il nome e cognome di uno dei candidati compresi nella lista stessa”; L'elettore esprime il suo voto per un candidato alla Presidenza della Regione, anche non collegato alla lista circoscrizionale prescelta, tracciando un segno sul nome del candidato alla Presidenza. 

·               Al comma 5 dell’articolo 1 si afferma che “ Il Presidente della Regione e il candidato alla carica di Presidente della Regione che ha conseguito un numero di voti validi immediatamente inferiore fanno parte del Consiglio regionale”;

·               Le circoscrizioni elettorali: “il territorio della Regione è ripartito nelle otto circoscrizioni elettorali di Cagliari, Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Nuoro, Ogliastra, Olbia-Tempio, Oristano e Sassari, corrispondenti a quelle risultanti alla data delle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale dell'anno 2009”. 

 

Un cambiamento significativo avverrà nel 2018 con la legge statutaria n.1 che introdurrà la parità di genere con la doppia preferenza e con l’art. 9 bis alla legge del 2013 la parità nella comunicazione politica, vale a dire la presenza paritaria di candidati e candidate con l’obbligo nella comunicazione elettorale della pari rappresentanza. Nella legge statutaria del 2013 la norma prevedeva che “ in ciascuna lista circoscrizionale, a pena di esclusione, ciascuno dei due generi non può essere rappresentato in misura superiore a due terzi dei candidati; si arrotonda all'unità superiore se dal calcolo dei due terzi consegue un numero decimale”. La legge 1/18,  per inciso nell’elezione del 2019, portò ad un risultato modesto, le donne elette in Consiglio regionale attualmente sono 8 e rappresentano il 13,3% dei consiglieri regionali. A tal proposito consiglio la lettura del lavoro della Dottoressa di ricerca in Scienze Giuridiche dell’Università degli studi di Cagliari.  Stefania Cecchini  che nel suo paper “La democrazia paritaria e le elezioni regionali in Sardegna del 24 febbraio 2019” affronta il tema descrivendo il meccanismo della doppia preferenza di genere scrive: “L’esperienza elettorale regionale del febbraio scorso, dunque, ha dimostrato come, da sole le misure promozionali volte a un riequilibrio di genere nelle Assemblee elettive non sono del tutto sufficienti a soddisfare gli obiettivi di democrazia paritaria imposti dai principi costituzionali di eguaglianza sostanziale e di pari opportunità, se non sono supportate da una più consapevole cultura politica. In particolare, la campagna elettorale sarda ha evidenziato la sottostima della doppia preferenza di genere da parte di alcuni aspiranti consiglieri, ai quali andrebbe presumibilmente ascritta la responsabilità della scarsa valorizzazione della misura stessa. Una volta presentate le liste paritarie, infatti, la gestione del meccanismo della doppia preferenza, e dunque delle alleanze, era nelle mani dei candidati – di entrambi i generi – che avrebbero potuto sfruttarla a proprio vantaggio ma che, al contrario, si sono dimostrati incapaci di gestire la preferenza plurima”.

Se andiamo a vedere i sistemi elettorali delle Regioni a Statuto speciale e le Regioni a Statuto ordinario possiamo affermare che la legge statutaria di Cappellacci è sostanzialmente simile alla maggioranza di esse. Vi sono alcuni esempi però che possono essere utili al fine di predisporre una proposta di modifica alla legge statutaria attualmente in vigore. Prendiamo tre regioni che hanno adottato diversi sistemi e da ognuna di loro possiamo trarre spunto per predisporre un sistema elettorale che equilibri il dovere della rappresentanza con quello della governabilità e della stabilìtà. Sino ad ora il versante della rappresentanza è stato sacrificato sull’altare della governabilità generando in questo modo esclusione e marginalizzazione di consistenti fette della società e svantaggiando specialmente il pensiero divergente, non omologato al sistema partitico vigente. 

Un  esempio importante  arriva dalla Valle D’Aosta, che dopo la riforma del 2017 che ha abolito il ballottaggio, ha in vigore un sistema proporzionale e il Presidente viene eletto dalla maggioranza del Consiglio regionale secondo un criterio di maggioranza assoluta (50%+1). I seggi vengono distribuiti proporzionalmente tra le liste, con un ipotetico premio di maggioranza sottoposto però ad una stretta clausola: la lista o il gruppo di liste che raggiunge il 42% dei voti ha diritto a 21 seggi. Per quanto concerne lo sbarramento sono previste due soglie. La prima esclude le liste che non abbiano raggiunto il quoziente minimo (dato dalla divisione tra la somma dei voti totali e il numero dei seggi da assegnare, “quoziente naturale”). Tra le liste sopravvissute alla prima scrematura, si ripartiscono i seggi e poi si applica il secondo sbarramento: vengono così escluse tutte le liste che non hanno ottenuto almeno due seggi in questo primo tentativo. I seggi "liberati" vengono riassegnati alle altre liste. 

Il secondo modello preso in esame è quello toscano che prevede, unica regione in Italia dopo l’abolizione nel 2017 nella Valle D’Aosta, il ballottaggio tra i due candidati Presidente più votati: se nessun candidato alla carica di presidente della Regione raggiunge il 40% più un voto si va al ballottaggio e non sono più ammessi collegamenti ulteriori tra le liste. In tal caso la coalizione collegata al Presidente eletto ha diritto al 57,5 dei seggi (ossia 23). Premio di maggioranza eventuale e variabile: chi vince prende il 60% dei seggi (ossia 24) se raggiunge il 45% dei voti al primo turno, oppure prende il 57,5% dei seggi (ossia 23) se raggiunge una percentuale compresa tra il 40%+1 e il 45% dei voti validi nel primo turno di votazione. La minoranza, in ogni caso, non può prendere un numero di seggi inferiore al 40%. Sbarramenti: 10% per le coalizioni di partito,  5% per le liste non coalizzate  e 3% per le liste all'interno di coalizioni. Se un partito prende il 5% dei voti all’interno di una coalizione che non raggiunge il 10%, i suoi voti sono ugualmente considerati nel calcolo dei seggi.

Il terzo modello che prevede l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale senza ballottaggio è comune a tutte le altre regioni, differenziandosi fondamentalmente sulla percentuale degli sbarramenti, sul premio di maggioranza, sulle norme parità di genere e sulla possibilità o meno di voto disgiunto. In Lombardia, si ha un esempio meno escludente delle minoranze rispetto a quello sardo,  infatti non sono ammesse al riparto dei seggi le liste il cui gruppo abbia ottenuto meno del 3% nell’intera Regione, a meno che siano collegate ad un candidato Presidente che abbia conseguito almeno il 5% dei voti validi.

Interessante il caso della Puglia dove il consiglio regionale è composto da 50 consiglieri, più il presidente; I primi 23 seggi vengono ripartiti a livello circoscrizionale e i restanti 27 a livello di collegio unico regionale. La legge prevede un unico turno, con voto di lista, la possibilità di esprimere due preferenze. Sugli sbarramenti per la ripartizione dei seggi è interessante il caso dell’Abruzzo dove è statainserita una soglia di accesso unica al 4% per le liste e per le coalizioni; all'interno di queste ultime è stata fissata una clausola di sbarramento meno restrittiva, pari al 2% per ciascuna delle liste collegate.




Proposte

Insomma le differenziazioni, di cui abbiamo riportato solamente alcuni esempi dimostrano che, attraverso una legislazione meno punitiva per le minoranze della legge statutaria sarda attualmente in vigore, possiamo andare incontro a quel requisito fondamentale per una legge elettorale veramente democratica, l’equilibrio tra rappresentanza e governabilità e stabilità .  In linea teorica saremmo stati completamente d’accordo su un sistema elettorale completamente proporzionale, senza sbarramenti e senza premi di maggioranza, la realtà, purtroppo non permette questa ipotesi visto il disgregarsi dei partiti e là volatilità dell’appartenenza e la ulteriore difficoltà di dover modificare lo statuto. È per questo che la nostra proposta pur non essendo puramente proporzionale prevede il doppio turno ed il premio di maggioranza attribuito nella percentuale del 55% dei seggi alla lista o alla coalizione del presidente vincente nel ballottaggio. In questo caso si rafforza la rappresentanza  e là si legittima attraverso il consenso raggiunto nel secondo turno. Per quanto concerne lo sbarramento ci è sembrato abbastanza equilibrato e rispettoso della rappresentanza il sistema abruzzese che prevede una soglia di accesso unica al 4% per le liste e per le coalizioni; all'interno di queste ultime è stata fissata una clausola di sbarramento meno restrittiva, pari al 2% per ciascuna delle liste collegate. (Le soglie possono essere anche più basse ma occorre tenere in considerazione che esiste comunque una soglia naturale determinata dal numero degli elettori/votanti e numero dei seggi disponibili). Nelle elezioni del 2019 la situazione è stata questa:  elettori 1.470.401, votanti 790.332, 53,74%. Se dividiamo 790.332 per i 60 seggi disponibili, compresi il Presidente vincente ed il secondo arrivato arriviamo a 13.172 votanti per singolo consigliere. 

Cancellazione del voto disgiunto che spesso è determinato da clientele trasversali ai partiti ed alle coalizioni  che un singolo candidato può avere e rappresenta un voto avulso dai programmi presentati.

Sulla elezione dei candidati Presidente credo che la regola migliore, meno escludente sia l’elezione di tutti i candidati presidente delle coalizioni o singola lista che superano la soglia di sbarramento del 4%.

Per quanto concerne la ripartizione dei seggi pensiamo che il sistema migliore sia questo:  40 seggi vengono ripartiti a livello circoscrizionale e i restanti 20, dove sono ricompresi i candidati presidente che ne hanno diritto,  a livello di collegio unico regionale. La Sardegna attualmente è divisa in otto circoscrizioni, alcune abbastanza piccole, dove è più facile che si annidi quello che Alberto Merler ha chiamato “notabilato”, ovvero professionisti, medici, ingegneri avvocati, imprenditori o comunque candidati che sono scelti per conoscenza personale, clientela, etc. I loro “clientes” li voteranno a prescindere dalla loro collocazione politica rendendo vana, comunque “mutilata” la competizione sulle idee e sui programmi. Eliminarla del tutto determinerebbe un Consiglio fortemente sradicato dai territori ma una riduzione attraverso la creazione di un collegio unico regionale potrebbe (in questo caso il condizionale è d’obbligo) incrementare il voto di opinione e dare maggiore spazio ai programmi.

Per quanto concerne la parità di genere e la norma della doppia preferenza introdotta nel 2018 seppur non abbia determinato un riequilibrio c’è da dire che ha comunque incrementato la presenza femminile portandola in una legislatura da 3 rappresentanti ad 8 (13,3% del Consiglio). I comuni di contro hanno una percentuale di rappresentanza  di genere molto più equilibrata, evidentemente rispetto al Consiglio regionale si sono fatti molti passi in avanti. La norma per le elezioni regionali, in questo caso non è derimente in quanto, come sostiene sempre la ricercatrice Stefania Cecchini, “per poter registrare una presenza femminile che superi le percentuali richiamate, è necessario che l’applicazione di tali strumenti normativi sia accompagnata da un’evoluzione sociale, culturale e, soprattutto, politica”. E, su questo versante ancora ci sono molti passi da fare. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Commenti