DELLA RICERCA, LA SUA FORTUNA, LA SUA UTILITÀ: IN MORTE DI UNO STORICO di Aldo Borghesi




Giusto un mese fa è scomparso a Sassari, all'età veneranda di 97 anni, il professor Luigi Nieddu, storico contemporaneista fra i migliori della sua generazione, quella dei maestri alla cui scuola è cresciuta la mia.
Sono rimasto sconcertato dal silenzio totale di fronte alla notizia da parte (salvo errore; e se sbaglio sarò lieto di essere smentito) del mainstream informativo cittadino, dell'accademia, dell'ambiente intellettuale, di tutta la Sassari che conta. E ci sarebbero davvero da compiere ben tristi riflessioni sulla considerazione in cui l'ambiente tiene il lavoro serio, non gridato e non venduto sul banco a ogni crocicchio. Ma non voglio inoltrarmi in considerazioni divisive, che assai probabilmente il professore nemmeno avrebbe gradito.
Il professor Nieddu era un docente di Liceo, credo abbia insegnato a lungo Italiano e Latino allo Scientifico Spano. Parallelamente - immagino tra una versione e un compito in classe, in sostanza nei momenti liberi e nelle vacanze, togliendo tempo allo svago e alla famiglia, come hanno fatto e fanno tutti coloro che si ostinano a dedicarsi alla ricerca fuori dall'università e dalle istituzioni a ciò deputate - ha pubblicato lavori che hanno aperto nuovi filoni di indagine sul Novecento in Sardegna: nel 1962 un'antologia di scritti di Luigi Battista Puggioni, primo contributo scientifico sulla storia di quell'oggetto misterioso che è il sardismo (altro che Giganti, se Giacobbo & c. se ne accorgessero ne avrebbero per interi cicli di trasmissioni...); due anni dopo un lavoro sulle origini del fascismo in Sardegna che per finire di essere lo strumento di studio principale sul tema ha dovuto aspettare la comparsa dei volumi di Girolamo Sotgiu, 30 anni dopo.
Nel 1979 è uscito "Dal combattentismo al fascismo in Sardegna", studio complessivo su un'epoca chiave della storia dell'isola come lo è il primo dopoguerra, del quale era stato come una sorta di anticipazione "Dopoguerra e fascismo in Sardegna", pubblicato nel 1969 da un allora assai giovane Salvatore Sechi, che vi riconosce il suo debito nei confronti delle indicazioni di lavoro ricevute da Nieddu.
"Dal combattentismo..." proponeva linee interpretative della storia del movimento dei combattenti e sardismo che allora non si potevano proprio dire politically correct: per esempio, un'analisi della fusione sardo-fascista molto lontana dalla vulgata prevalente (e all'epoca ancora strenuamente difesa), costruita su un'ampia e solida base documentaria ed anche sull'utilizzo di un testo allora "maledetto" come "Grande cronaca minima storia" del reietto Paolo Pili. Tutti dati ormai serenamente acquisiti per chi studia o semplicemente conosce la storia della Sardegna in quell'epoca: ma che allora di scandalo ne facevano, e molto.
E che in certi ambienti all'autore non hanno portato grande popolarità. Ma gli fanno meritare pienamente l'elogio che di lui tesse Francesco Floris, con parole che per ogni studioso sarebbero motivo di orgoglio: "in tutte le sue opere ... tende a tenersi lontano dai sentieri obbligati del cosiddetto "senso comune storiografico", sostenendo spesso tesi originali appoggiate a documenti frutto delle sue ricerche e del suo forte fiuto di investigatore".


Inutile dire che molte linee di indagine proposte da Nieddu aspettano tuttora, 40 anni dopo, di essere adeguatamente sviluppate e approfondite; la sua opera rimane tuttora uno dei testi di riferimento sull'argomento, come ben sanno i miei laureandi che se lo ritrovano puntualmente in bibliografia. Idem dicasi della bellissima antologia di scritti di Camillo Bellieni "Partito Sardo d'azione e repubblica federale", comparsa nel 1986 sull'onda dell'attenzione per una figura a lungo trascurata, suscitata dai lavori di Sechi e dello stesso Nieddu, ripresa dagli studi di Sabbatucci ed a cui hanno dedicato attenzione e contributi anche il mio maestro Lorenzo Del Piano e il suo allievo di allora, Francesco Atzeni.
Nieddu era di fede politica socialista, quando le fedi politiche erano una cosa seria. Socialista rigorosamente autonomista: probabilmente per questo motivo si era trovato abbastanza vicino al progetto culturale di Craxi, e ritengo sia a ciò dovuta la sua scelta di dedicare le ultime energie di studioso alla travagliata vicenda di Gramsci in carcere. La sua interpretazione aveva allora destato scalpore, si era meritata la rovente etichetta di "revisionista"; oggi chetamente viene riconosciuto che non era proprio così priva di fondamento.
Ed a questo indirizzo di studi ne aveva sacrificato altri, che restano ancora da percorrere: una storia complessiva del movimento socialista in Sardegna, soprattutto dal 1943 in poi; l'approfondimento delle ricerche sul combattentismo e il sardismo, sulle loro strutture, i quadri, il radicamento territoriale. Con personale dispiacere mio e anche di altri: una volta mi ero anche permesso di farglielo notare e mi ero preso di buon grado la prevedibile lavata di capo che mi era puntualmente giunta, e che mi meritavo da studioso più giovane e di assai minor rango.
Ciò che peraltro non aveva diminuito la stima e l'affetto che il professor Nieddu, sempre generoso e prodigo di indicazioni incoraggiamenti e all'occorrenza tirate d'orecchie, dimostrava nei confronti miei come di quanti si dedicavano alla ricerca storica, per mestiere e ancor più per passione. Per il resto, era persona di parole e modi assai franchi, uso a non mandarla a dire a nessuno; e questo in un ambiente cittadino nel quale chi canta fuori dal coro gode di poca fortuna, non gliene aveva in effetti procurata molta.
Ciò spiega probabilmente anche il quasi totale silenzio che ne ha accompagnato la scomparsa. Silenzio che non mi sento di condividere: perchè ho un debito con lui, con i suoi contributi scientifici che è mio dovere onorare.
Non solo io: in una delle ultime tesi di laurea di cui sono stato relatore i suoi libri sono citati in nota decine di volte. La valorosa autrice ovviamente non è una studiosa della mia ormai anziana generazione, è una ragazza di poco più che vent'anni che tante volte nel corso del suo lavoro mi ha espresso ammirazione per quegli studi e il loro autore.
Non ho fatto in tempo a raccontarlo all'interessato, purtroppo. Ma come accade a tutti i buoni maestri, la sua opera non finisce con lui. Grazie professore, in su chelu che siat.

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